In Italia, il periodo natalizio coincide con un fiorire di calendari dell’avvento straripanti dolciumi e cioccolatini, ma qual è il costo umano di questo consumo di massa?
Non è una novità che l’industria del cacao si regga su una diseguaglianza vertiginosa, con miliardi di dollari incassati annualmente dalle multinazionali a confronto della povertà quasi assoluta in cui vivono la maggior parte degli agricoltori.
Negli anni si sono succeduti studi, indagini, reportage per denunciare le condizioni dei lavoratori nelle piantagioni di cacao, o il loro impatto ambientale. Solo in Costa d’Avorio in 10 anni è stata disboscata un’aerea grande quanto il Rwanda, che corrisponde a circa la metà della foresta tropicale del paese.
Eppure, nonostante molte imprese abbiano tentato di ripulire la propria immagine con presunte iniziative e protocolli sostenibili, la realtà è cambiata di poco.
Lo racconta un report pubblicato da Ethical Consumer, che ha esaminato 82 aziende produttrici di cioccolato. Tra queste, soltanto 17 utilizzano cioccolato proveniente da fornitori che garantiscono agli agricoltori una retribuzione sufficiente per vivere.
Per non parlare dell’utilizzo del lavoro minorile. In Ghana e Costa d’Avorio, i principali paesi produttori di cacao dell’Africa e responsabili di circa il 60% della produzione globale, è emerso che quasi la metà della compagnie utilizzano manodopera infantile. Rispettivamente 6 aziende su 10 in Ghana e 4 su 10 in Costa d’Avorio.
Una percentuale che non accenna a diminuire. Anzi, questi numeri sono il frutto di un aumento del 14% tra il 2008 e il 2019. Si parla di circa 1,5 milioni di bambini che nei due paesi sono coinvolti in lavori potenzialmente pericolosi, secondo uno studio condotto dall’Università di Chicago nel 2020. Il lavoro nelle piantagioni di cacao è particolarmente dannoso in età infantile perché l’esposizione ai pesticidi può comprometterne lo sviluppo fisico e cognitivo. Gli effetti negativi emergono solo a distanza di anni.
Le industrie più incriminate dal report sono Mars, Nestlé e Mondelēz, ma anche Ferrero non si è posizionata benissimo. Tra i fattori che hanno inciso nel giudizio non ci sono soltanto i diritti dei lavoratori, ma anche per la condotta fiscale e l’impatto ambientale, in particolare la deforestazione e l’uso della plastica.
Tra i brand raccomandati, invece, ci sono Tony’s Chocolonely, Divine and Chocolat Madagascar, che risultano tra i marchi che pagano tariffe in linea o superiori con il Fairtrade International e utilizzano cioccolato prodotto nello stesso paese in cui viene prodotto il cacao, anziché con importato. Ciò aiuta le economie dei paesi produttori di cacao piuttosto che dei produttori europei.