Solo sette paesi africani sono muniti di sistemi di monitoraggio della qualità dell’aria affidabili. A dirlo è un recente studio pubblicato dalla rivista scientifica The Lancet lo scorso 17 maggio, intitolato Pollution and health: a progress update. Dall’indagine emerge che nel 2019, a livello globale, l’inquinamento è stato responsabile della morte prematura di quasi nove milioni di persone. Morti dovute principalmente alla scarsa qualità dell’aria che respiriamo.
Un trend allarmante che si può cambiare solo se i livelli di inquinamento atmosferico vengono sorvegliati costantemente, cosa che non avviene soprattutto nei paesi dell’Africa subsahariana.
Gli effetti degli inquinanti tradizionali
In Africa, come detto, solo sette dei 54 paesi africani dispongono di sistemi di rilevamento della qualità dell’aria installati a terra. Tra questi vi sono Sudafrica, Ghana, Nigeria e Senegal. In molti altri paesi si fa invece più uso di immagini satellitari, che però, se non incrociate con i dati raccolti da sistemi installati a terra, non sono in grado di fornire informazioni sufficientemente precise.
La conseguenza di queste carenze è che in Africa si continua a morire troppo a causa di inquinanti tradizionali: monossido di carbonio (CO), biossido di zolfo (SO2), polveri totali sospese, biossido di azoto (NO2) e benzene.
Dallo studio pubblicato da The Lancet emerge che Ciad, Repubblica Centrafricana e Niger sono i tre paesi africani con il maggior numero di decessi dovuti all’inquinamento dell’acqua e del suolo, e all’inquinamento indoor. Negli ultimi anni il varo di programmi governativi per ridurre gli effetti dell’inquinamento dell’aria nelle case e in altri ambienti chiusi, per migliorare gli standard dei servizi igienico-sanitari e l’approvvigionamento idrico, ha consentito di risparmiare migliaia di vite umane.
È accaduto soprattutto in paesi come l’Etiopia e la Nigeria, dove tra il 2000 e il 2019 iniziative di questo tipo hanno permesso di ridurre di due terzi i decessi correlati alle varie forme di inquinamento atmosferico.
Urbanizzazione incontrollata
I processi di industrializzazione e urbanizzazione incontrollati che da decenni investono le megalopoli africane, stanno causando invece un aumento dei decessi causati da inquinanti moderni (metalli pesanti, sostanze nocive derivate dall’uso di prodotti chimici nell’agricoltura ed emissioni di gas serra legate all’uso di combustibili fossili), che è stato del 66% dal 2000 a livello mondiale.
Se potenze economiche come Cina e India negli ultimi anni hanno investito molto per cercare di ridurre i livelli di inquinamento atmosferico connessi a questi processi, lo stesso non può dirsi per i paesi africani.
Se in Europa e Nord America nella maggior parte delle aree urbane è in funzione un sistema di monitoraggio della qualità dell’aria a terra ogni 100-600mila abitanti, nei è paesi dell’Africa subsahariana la proporzione passa a una centralina ogni 15,9 milioni di persone. Inoltre, come sottolineato, se non incrociati con i dati dei sistemi a terra, le informazioni ricavate dalle immagini satellitari hanno dei margini di errore molto alti, tra il 22 e l’85% nel caso delle rilevazioni delle concentrazioni in superficie di polveri sottili (PM2,5).
Impatti economici
Tutto ciò ha degli impatti negativi non solo sulla salute delle persone ma anche sul piano economico. Secondo lo studio di The Lancet, nel 2000 i danni e le perdite causati dagli inquinanti tradizionali hanno eroso il Prodotto interno lordo dell’Etiopia di 6,4 punti percentuali e quello della Nigeria di 5,2 punti percentuali. Nel 2019 queste percentuali sono scese rispettivamente al 2% e al 4,6% grazie ai programmi di contenimento dei livelli di inquinamento atmosferico.
Per invertire la tendenza in Africa servirà fare ovviamente molto di più, sia in termini di prevenzione e informazione che attraverso monitoraggi più capillari, integrati e di conseguenza più efficaci. A voler provare a essere ottimisti, tra le righe di questo report viene rimarcata anche una buona notizia che riguarda il continente africano. Nel luglio del 2021 l’Algeria ha interrotto la distribuzione di benzina con piombo. Era l’ultimo paese al mondo che ancora non l’aveva bandita. Meglio tardi che mai.