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Il petrolio e le comunità
Inquinamento in Ciad, la Glencore costretta a trattare
La filiale britannica dell’azienda svizzera deve fare i conti con una denuncia per sversamento di un liquido tossico nei campi e nei corsi d’acqua nel sud del Ciad. Conseguenze per almeno 50 persone. La denuncia riconosciuta dall’organismo del Regno Unito che si occupa di questi contenziosi
28 Gennaio 2021
Articolo di Redazione
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Glencore Ciad
Inquinamento dell'acqua causato dal versamento di sostanze tossiche (10 settembre 2018)

Le comunità africane, in particolare quelle che stanno sugli ultimi gradini della scala sociale, sono sempre meno disposte ad accettare angherie e a incassare in silenzio ogni tipo di sopruso. Questo atteggiamento trova conferma in un episodio accaduto nel sud del Ciad, un’area ricca di risorse petrolifere.

Nel settembre del 2018, nel campo petrolifero di Badila si è verificato un consistente sversamento (85 milioni di litri) di un liquido (acque tossiche) utilizzato nella lavorazione del greggio. Il liquido ha invaso i campi coltivati ed è andato a finire in un corso d’acqua.

A farne le spese sono stati una cinquantina di ciadiani che vivono nelle vicinanze dell’impianto e che hanno accusato lesioni cutanee, vomito e diarrea. A gestire il campo petrolifero è una filiale britannica della multinazionale svizzera Glencore.

Tutto è sembrato finire lì. E invece, a quasi due anni e mezzo di distanza, le agenzie di stampa hanno riportato che tre organizzazioni non governative (ong) avevano fatto una denuncia contro la Glencore britannica. Chiedono che il danno sia riconosciuto e risarcito.

Non solo: la National Contact Point (Ncp), l’organismo del Regno Unito che riceve le denunce contro le imprese, ha ritenuto ricevibile la denuncia e ha aggiunto che gli elementi portati dalle ong «meritano un esame approfondito». Se tra la Glencore e i denuncianti non si arriva a un accordo, l’ultima parola spetterà alla Ncp.

Sei mesi per la mediazione

Le ong spiegano che, nelle settimane che hanno preceduto l’incidente, gli abitanti della zona avevano fatto presente all’azienda che l’invaso contenente le acque tossiche aveva dei problemi, senza ricevere risposta. Anneke Van Woudenberg, direttrice della ong Raid: «È una tappa importante in vista della soluzione di questa vicenda. Anche perché abbiamo tentato invano per più di un anno di aprire una tavolo con la Glencore. La mediazione di Ncp può durare sei mesi».

Per parte sua la Glencore, nell’accettare la decisione di Ncp, afferma di essere stata «trasparente sull’incidente» e assicura che «sono state prese delle misure». La società svizzera è presente in Ciad dal 2013 e probabilmente nella gestione dei “problemi” legati allo sfruttamento del petrolio ha tenuto conto del fatto che questo paese del Sahel è governato da trent’anni da un uomo politico, Idriss Déby, che di tutto si preoccupa tranne che dei diritti umani dei suoi concittadini.

Anche perché i proventi del petrolio – l’oro nero è stato scoperto da quelle parti nei primi anni 2000 – rappresentano una parte considerevole delle entrate dello stato ciadiano. Entrate che hanno consento a Déby di allestire uno degli eserciti più agguerriti del Sahel: una forza che utilizza, non gratuitamente, anche per sostenere lo sforzo europeo di contrastare il jihadismo e le migrazioni nell’area.

Ha dichiarato l’avvocatessa Delphine K. Djiraïbé, del Public Interest Law Center di N’Djamena, che si è costituito parte civile: «Glencore non ha mai prestato attenzione alle vittime. Ora speriamo che l’impresa ci ascolti».

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