La relazione speciale tra Italia e Algeria passa per “un nuovo gasdotto per l’idrogeno”. C’è una nuova pipeline al centro degli accordi siglati il 23 gennaio dall’ad di Eni, Claudio Descalzi, e il direttore generale di Sonatrach, Toufik Hakkar, durante la visita di Giorgia Meloni nel paese nordafricano. Che da qualche mese è diventato il primo fornitore di gas dell’Italia, scalzando la Russia, con una quota altissima, quasi il 35% del fabbisogno nazionale.
L’opzione Transmed
Quali siano i contorni dell’accordo, però, è tutt’altro che chiaro. Oggi Italia e Algeria sono già collegate da un gasdotto, il Transmed, che parte dall’hub gasiero di Hassi R’Mel, nel Sahara algerino, punta verso est attraversando la Tunisia, si tuffa nel canale di Sicilia per 380 km e approda a Mazara del Vallo.
Questa pipeline ha una capacità teorica di 30 miliardi di metri cubi (bcm) di gas all’anno che, secondo le dichiarazioni rese da Descalzi ad Algeri, potrebbero salire a 35. Ed è quindi sfruttato solo per 2/3, nella peggiore delle ipotesi, visto che nel 2022 ha trasportato 22,1 bcm (erano 21 l’anno prima).
Che l’accordo firmato da Eni e “benedetto” da Meloni e dal presidente algerino Abdelmadjid Tebboune riguardi proprio un potenziamento del Transmed, però, non è certo. In merito sia la presidente del Consiglio sia la compagnia di San Donato Milanese non hanno fornito dettagli utili.
Meloni si è limitata a sottolineare che l’intesa mira a «giungere ad un incremento delle esportazioni di energia dall’Algeria all’Italia e potenzialmente all’Ue, studiando anche la realizzazione di un nuovo gasdotto per l’idrogeno». Mentre una nota della compagnia che fu guidata da Enrico Mattei si limita a uno stringatissimo commento sul fatto che insieme a Sonatrach si “condurranno studi per individuare possibili misure di miglioramento della capacità di export di energia dall’Algeria verso l’Europa”.
Pensare a un potenziamento del Transmed appare scontato visti gli ultimi movimenti di Eni e Snam. Il 10 gennaio la compagnia di Descalzi ha fatto entrare Snam nella gestione dei due segmenti di Transmed, onshore e offshore, con una quota del 49,9%. L’operazione era in ballo già da fine 2021 e mira soprattutto a rendere il gasdotto hydrogen-ready, pronto cioè per accogliere una miscela di gas fossile e idrogeno.
Un Galsi 2.0
Un’altra opzione possibile è che l’accordo tra Eni e Sonatrach sia un’operazione ben più articolata e impattante: resuscitare il Galsi. Il gasdotto che avrebbe dovuto collegare l’Algeria con la Sardegna, attraversare tutta l’isola in diagonale, correre sul fondale del Tirreno tra l’arcipelago toscano e approdare infine a Piombino è un progetto nato a inizio anni 2000 ma congelato almeno dal 2014, quando l’Europa si riprese i finanziamenti perché il progetto non aveva ingranato.
Negli ultimi mesi, però, l’idea di rispolverare questo gasdotto è stata accarezzata a più riprese. Soprattutto dal governo algerino. Che a fine dicembre 2022 ha siglato, tramite Sonatrach, un accordo con la tedesca Vng per realizzare studi di fattibilità sulla produzione, trasporto e commercializzazione dell’idrogeno verde (prodotto, cioè, a partire da energie rinnovabili tramite elettrolisi dell’acqua).
Trasporto che avverrebbe via pipeline attraverso l’Italia: una delle opzioni citate è proprio un Galsi 2.0, riadattato per trasportare anche idrogeno.
A far salire le quotazioni del Galsi è stato lo stesso Tebboune. Durante la conferenza stampa congiunta con Meloni, il presidente algerino ha risposto a una domanda sul gasdotto verso la Sardegna spiegando tempi e dettagli del “nuovo gasdotto per l’idrogeno”. Senza mai citare espressamente il Galsi, ma nemmeno senza negare che il progetto sia di nuovo sul tavolo.
«Per quanto riguarda la realizzazione e i tempi di questo gasdotto dipenderà dai tecnici» ha detto Tebboune. «Ci sarà una condotta speciale, diversa, non come quelle esistenti perché riguarderà gas, idrogeno, ammoniaca e anche elettricità. Si tratta di un progetto importante che farà l’Italia un distributore di queste energie per tutta l’Europa».
Se fosse il Galsi l’opzione prescelta, il dossier si andrebbe però a scontrare con il dibattito in corso sulla metanizzazione della Sardegna. In un frangente, peraltro, in cui Arera ha bocciato di recente il progetto di realizzare la dorsale del gas nell’isola (legandola, en passant, al gas per decenni).
Il miraggio dell’idrogeno
In ogni caso, l’intenzione è di costruire un nuovo gasdotto tra Italia e Algeria. E nonostante sia stato battezzato fin dal principio come “gasdotto per l’idrogeno”, è destinato a trasportare una miscela di idrogeno (il 10-20% del volume totale) e gas fossile. E nemmeno da subito: con ogni probabilità, all’inizio trasporterà soltanto gas.
«Gasdotto per l’idrogeno è la formula che viene proposta in questi mesi per tutti i nuovi gasdotti: l’H2Med tra Spagna e Francia, l’EastMed da Israele a Cipro, il raddoppio del Tap»», spiega a Nigrizia Elena Gerebizza di ReCommon.
L’etichetta è sia marketing politico, perché permette di vendere una nuova infrastruttura fossile come progetto sostenibile, sia una mossa per rientrare nei criteri della tassonomia verde europea e quindi garantirsi investimenti. Senza i quali il progetto non avrebbe neppure una convenienza economica.
I punti interrogativi che restano sono molti. A partire da cosa sarà realmente trasportato nel gasdotto e a come sarà prodotto l’idrogeno algerino. «L’unica cosa certa che noi sappiamo è che al momento l’unico idrogeno che viene prodotto nei paesi del Nordafrica è idrogeno grigio, cioè a partire da combustibili fossili senza recupero di CO2. Una tecnologia, quest’ultima, per cui non esistono ancora dei progetti funzionanti su scala commerciale», specifica Gerebizza.
Tantomeno c’è una capacità di elettrolisi che permetta una produzione di idrogeno verde adeguata alle esigenze di questo nuovo gasdotto. Di quanto tempo ci sarà bisogno prima di vederla? «Possiamo fare solo delle ipotesi, ma probabilmente dovremmo pensare a una data attorno al 2040, forse anche dopo il 2050. Ma dire idrogeno verde non significa che sia davvero sostenibile: il trasporto su lunga distanza e l’energia che serve a muoverlo lo rendono assolutamente insostenibile».
Nel frattempo, però, i gasdotti hydrogen-ready allungheranno la vita all’estrazione di gas fossile. Vincolando l’Italia al gas e alla dipendenza da paesi terzi.
È su questo miraggio, quello dell’idrogeno come architrave della transizione energetica anche se va a braccetto con le fossili, che si regge il progetto meloniano di fare dell’Italia un hub energetico del Mediterraneo.
«La visita di Meloni in Algeria ha dimostrato come i leader europei si rivolgano all’Africa settentrionale e orientale per tappare il buco dell’approvvigionamento energetico lasciato dall’invasione russa, invece di affrontare il problema di fondo», ragiona We Smell Gas, un collettivo di attivisti che monitora le politiche europee sul gas.
«Inoltre, il partenariato italo-algerino per il gas fossile continua a perpetuare la ricerca neocoloniale di risorse da parte dell’Europa a spese delle comunità algerine».