Che succede ancora nella sempre chiacchierata piantagione di ananas della Del Monte in Kenya?
Negli ultimi mesi si susseguono informazioni diverse che concordano su un punto: i 40 chilometri quadrati della piantagione (contee di Kiambu e Murang’a, una quarantina di chilometri a nord-est di Nairobi) sono teatro di frequenti abusi e di veri e propri crimini.
Non è la prima volta che la Del Monte Kenya, filiale della Fresh Del Monte Produce – multinazionale americana costituita alle isole Cayman, con sede centrale in Florida, frutto di una divisione della compagnia “madre”, la Del Monte nata a San Francisco, in California, nel 1886 – è accusata di non rispondere agli standard minimi di rispetto dei diritti dei lavoratori e dei diritti umani, loro e della popolazione circostante.
Parecchi lettori ricorderanno la campagna di boicottaggio organizzata dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo, supportata dalla Commissione per i diritti umani del Kenya (Kenya Human Rights Commission), che puntava il dito, tra l’altro, sulle condizioni di lavoro, sui salari così bassi da non permettere ai lavoratori di soddisfare i bisogni minimi della famiglia, sugli alloggi vergognosamente insalubri, sull’uso senza protezioni di pesticidi considerati pericolosi dall’Organizzazione mondiale della sanità, sull’intimidazione dei sindacalisti.
Nello stesso periodo, in Svizzera, la Société Générale de Surveillance pubblicava un rapporto decisamente negativo, pure relativo alle condizioni di vita e di sicurezza dei lavoratori e alle violazioni dei loro diritti sindacali. Di fatto la conferma di quanto affermato dagli organizzatori italiani del boicottaggio dell’ananas Del Monte.
Era il 1999. In 25 anni nulla sembra sostanzialmente cambiato. Anzi, la situazione sembra peggiorata, soprattutto per quanto riguarda le relazioni con il territorio.
Del Monte in tribunale
Alla fine dello scorso dicembre un gruppo di organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno iniziato una causa contro la multinazionale per conto di una decina di persone che sostengono di essere state ferite con armi da taglio, fatte oggetto di lancio di pietre, torturate anche con l’uso di cani da guardia e violentate dalle guardie della piantagione.
Alla prima udienza, l’8 febbraio scorso, molte altre vittime della loro brutalità si sono presentate al tribunale per chiedere di essere aggiunte all’elenco degli accusatori. Tra le altre, la famiglia di un giovane trovato morto alla vigilia di Natale in un corso d’acqua all’interno della piantagione.
Insieme a lui, nudo e con i segni di gravi ferite, è stato rinvenuto anche un altro cadavere. Ma nell’arco di un decennio i morti trovati nella piantagione sarebbero almeno sei, quattro nelle ultime settimane dello scorso anno. Gravi abusi e violenze sono elencati anche nei documenti di uno studio legale che ne ha chiesto ragione alla compagnia. Si tratterebbe di 143 casi che avrebbero coinvolto 134 abitanti della zona.
Nei giorni scorsi il tribunale avrebbe autorizzato l’unificazione delle diverse cause e l’aggiunta di altri eventuali richiedenti. Ci si aspetta che molte altre vittime si uniscano al già lungo elenco.
Vittime e testimoni
L’inchiesta pubblicata dalla rete di giornalismo investigativo OCCRP sostiene che le vittime sarebbero in maggioranza persone che transitano sulla rete di strade che percorrono la vastissima piantagione per spostarsi da un punto all’altro della regione; direttrici per altro tradizionalmente usate dalle comunità locali. I passanti, considerati presenti senza autorizzazione in una proprietà privata, sono esposte alla brutalità del servizio di sicurezza privato della compagnia.
The Guardian, autorevole quotidiano inglese, ha raccolto le testimonianze in proposito di cinque ex guardie della Del Monte che hanno confermato il violento modo di operare dei loro ex colleghi: passanti abusivi dilaniati dai cani, feriti gravemente in attacchi con bastoni e armi da taglio, investiti di proposito dalle macchine della compagnia e buttati nella boscaglia nelle vicinanze di una strada statale, unica possibilità per loro di essere notati e soccorsi. Alcuni si sono salvati, di altri i cinque testimoni non hanno più avuto notizie.
In un precedente articolo, pubblicato all’inizio di febbraio, The Guardian ha anche raccolto informazioni relative a tentativi di insabbiamento delle inchieste in corso, in particolare di quelle relative alla morte delle quattro persone trovate nella piantagione tra la fine di novembre e la fine di dicembre. Vi si legge che il rappresentante legale della società in Kenya avrebbe cercato di corrompere i testimoni perché sostenessero la versione dei fatti dell’azienda.
Uno dei testimoni si è anche confidato sul perché aveva lasciato il lavoro: «Ho cominciato a pensare che non era il lavoro giusto per me, proprio come mia madre continuava a dirmi, perché vengo dalla zona e ho visto molte persone che conosco soffrire nelle mani delle guardie».
Furti su larga scala
Ma nella piantagione esiste anche un grave problema di furto degli ananas venduti poi privatamente sui mercati del paese. Secondo un’altra testimonianza raccolta dal Guardian, sarebbe un “grande affare” e tra i responsabili ci sarebbero le stesse guardie, in particolare quelle in posizione di comando che sposterebbero le pattuglie dalle zone obiettivo dei furti, in modo da lasciare mano libera ai complici. La dimostrazione che i ladri hanno basisti interni è il fatto che agiscono a colpo sicuro, negli appezzamenti in cui i frutti sono pronti per essere raccolti.
Un’altra testimonianza parla della formazione delle guardie, che sarebbe unicamente di tipo fisico e sull’uso della forza per trovare e punire i passanti abusivi. I metodi adottati dal servizio di sicurezza della Del Monte avrebbero indotto anche le comunità locali a usare la violenza, tanto che le guardie avrebbero dovuto difendersi in diverse occasioni. Il testimone ha poi aggiunto: «La responsabilità è della compagnia per non aver costruito buoni rapporti con la comunità che sente di non aver nessun beneficio dalla Del Monte».
Lo ha sottolineato anche il senatore della contea di Murang’a, Joe Nyutu, citato dal quotidiano kenyano Daily Nation in un articolo del 22 marzo – The ruthless pineapple theft gang on Murang’a and why police are alarmed – che propone un accordo con le contee dove si trova la piantagione. 200 milioni di scellini stanziati dalla Del Monte per sostenere la produzione di ananas da parte dei piccoli produttori locali. Un beneficio concreto che, con ogni probabilità, stroncherebbe anche i furti nella piantagione.
All’inizio di marzo la multinazionale, travolta dalle critiche e convinta dalle raccomandazioni di un valutazione delle violazioni dei diritti umani nel suo territorio, ha affidato la sorveglianza a una compagnia specializzata, la G4S, che ha iniziato il lavoro all’inizio di marzo con l’impiego di 270 persone formate in tecniche di riduzione delle tensioni e nell’usare la forza solo quando strettamente necessario. I 214 uomini della Del Monte sono stati semplicemente licenziati. Un passaggio di consegne che non si può certo definire ottimale.
Il personale della G4S dovrà vedersela con i ladri operanti nella vasta piantagione le cui attività hanno intanto raggiunto una scala e una modalità tale che le autorità competenti le hanno definite banditismo e hanno promesso di contrastarle con tutti i mezzi che saranno necessari.