Lo scorso novembre l’Oakland Institute – centro di ricerca e advocacy americano specializzato nel contrastare il land grabbing e proteggere i diritti dei popoli indigeni – ha pubblicato un esplosivo rapporto che denuncia il modello delle riserve naturalistiche comunitarie diffuse in Kenya.
L’obiettivo dichiarato di queste riserve è di proteggere l’ambiente e la fauna selvatica attivando le comunità locali. Il rapporto sostiene invece che finiscono per diventare in realtà territori privatizzati, attrazioni turistiche molto spesso d’élite a scapito dei diritti della popolazione locale, come dichiarano i leader comunitari di diversi gruppi etnici in una dichiarazione rilasciata alla presentazione del lavoro.
Il titolo, Stealth Game. “Community” Conservancies Devastate Land & Lives In Northern Kenya (Partita segreta. Le riserve “comunitarie” devastano terra e vite nel Kenya settentrionale) non potrebbe essere più esplicito e sintetizza un testo di 56 pagine ricchissimo di testimonianze e documenti che esplicitano in maniera incontrovertibile l’assunto.
Sotto accusa è la Northern Rangeland Trust (Nrt), che dichiara di essere un’organizzazione che rappresenta una rete di 43 riserve comunitarie collocate nel nord e sulla costa del Kenya. Tali riserve si estendono su oltre 42.000 km quadrati, circa l’8% del territorio del paese, abitati da 320.000 persone di 18 diversi gruppi etnici, molti dei quali allevatori tradizionali. Nel sito dell’organizzazione, la prima frase ne sottolinea la mission: “Protezione dal basso volta a migliorare la vita della popolazione, costruire una convivenza pacifica e conservare l’ambiente naturale”.
Espropri e tensioni
Il rapporto dell’Oakland Institute, e anche qualche testimonianza raccolta direttamente, mettono in dubbio l’obiettivo dichiarato. Intervistati dai ricercatori, i rappresentanti delle comunità sul cui terreno si trovano le riserve hanno detto che «l’organizzazione li ha espropriati della loro terra». Un altro ha aggiunto che la Nrt «ha messo la paura nei nostri cuori».
Sotto accusa, infatti, non è solo la gestione del territorio ma anche l’organizzazione della sicurezza, garantita da almeno 870 scout con il compito dichiarato di combattere il bracconaggio. «Questi ranger sono dotati di armi militari e ricevono un addestramento paramilitare» dall’accademia del servizio governativo per la protezione della fauna selvatica e da diverse compagnie private.
Secondo gli intervistati, sarebbero responsabili di frequenti e diffusi abusi e violazioni dei diritti umani, tra cui uccisioni extragiudiziali e sparizioni. Accuse gravissime ma non sorprendenti. Le pagine dei quotidiani del Kenya riportano molto spesso casi di questo genere che hanno una conclusione comune: le inchieste finiscono in niente e i colpevoli rimangono sconosciuti.
Inoltre i ranger della Nrt sono accusati di essere spesso coinvolti in conflitti interetnici. Ad esempio, secondo testimonianze di leader comunitari, sarebbero stati coinvolti negli scontri che hanno fatto 76 vittime nella riserva Biliqo Bulesa, nella contea di Isiolo.
Per tutto questo la Nrt è contestata in diverse aree. Già nel 2016 il governo locale l’ha espulsa dalla contea di Turkana. Le comunità della contea di Isiolo e il Consiglio degli anziani borana ne discutono quotidianamente le iniziative. L’associazione formata dal consiglio degli anziani samburu, che rappresentano gli interessi dei samburu in quattro contee – Isiolo, Laikipia, Marsabit e Samburu – hanno scritto ai donatori internazionali della Nrt, invitandoli a interrompere le donazioni e a esaminarne le spese confrontandole con i progetti comunitari realizzati.
Finanziatori internazionali
Eppure ben poco di tutto ciò emerge. Cittadini kenyani che conoscono qualcuna delle riserve della Nrt e a cui è stato fatto leggere il rapporto hanno confermato di aver avuto sentore dei problemi e hanno complessivamente confermato quanto emerge dalla ricerca. E si sono domandati perché gli amministratori locali, il governo e perfino la stampa nazionale abbiano finora passato praticamente sotto silenzio la questione.
Forse la risposta, o almeno una parte della risposta, sta nella storia e nelle connessioni della Northern Ranglend Trust con il mondo ambientalista internazionale e con le istituzioni del paese.
La Nrt nasce nel 2004 sul modello della prima riserva naturale privata del paese, la Lewa Wildlife Conservancy (Lwc), nata negli anni Ottanta per proteggere il rinoceronte nero in via di estinzione. La riserva nacque per iniziativa di un’ambientalista, Anna Merz, e di David Craig, proprietario del ranch Lewa, 62.000 ettari nella contea di Meru, nel Kenya centrale.
Nel sito della Lwc si legge che, man mano che la riserva si arricchiva di fauna selvatica, diventava evidente che, per la sua protezione, era necessario discutere con le comunità locali. Le comunità locali vengono coinvolte, perciò, in modo surrettizio, quando diventano indispensabili al raggiungimento dell’obiettivo primario, la protezione della fauna selvatica e del suo ambiente, e non come protagoniste e titolari del progetto. E forse questa è proprio la chiave del problema.
La Lwc ospita numerosi esemplari di tutti i grandi mammiferi selvatici del paese e oltre 400 specie di uccelli. Per il suo interesse naturalistico è elencata nella lista dei siti considerati dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Ed è una delle 43 riserve comunitarie della Northern Rangeland Trust di cui la famiglia Craig, in particolare Ian, figlio di David, è uno dei soci fondatori e fino all’anno scorso membro del board.
Interessante notare che il consiglio di amministrazione è diviso in tre gruppi ben distinti: 7 membri individuali, 6 rappresentanti istituzionali (il ministero dell’interno, il servizio forestale e quello per la protezione della fauna selvatica kenyani; Fauna and Flora International, la prima organizzazione ambientalista al mondo, nata nel 1903; due delle riserve della rete una delle quali è la Lwc); 3 membri di diritto rappresentanti delle comunità locali che, da quest’anno, esprimono anche il presidente.
Questa composizione del consiglio di amministrazione fa pensare che, al di là delle dichiarazioni e delle finalità ufficiali, gli interessi veri sono quelli economici – siamo uomini d’affari avrebbero dichiarato alcuni di loro in più di una occasione – mentre quelli delle comunità locali rischiano di essere sempre in stretta minoranza.
La Nrt gestisce infatti interessi economici notevolissimi, tra cui i fondi che riceve da innumerevoli finanziatori internazionali per scopi non sempre trasparenti. Il rapporto cita, ad esempio, un contratto per 12 milioni di dollari con due compagnie petrolifere – la British Tullow Oil e la Canadian Africa Oil Corporation – per formare e gestire sei riserve comunitarie nelle contee di Turkana e West Pokot nell’arco di 5 anni.
Lo scopo dichiarato era quello di “aiutare le comunità” a capire i benefici dell’estrazione petrolifera nel loro territorio. Le comunità invece dicono che ha dato un impulso e un’accelerazione alle attività delle due compagnie, mascherando preoccupazioni ancora aperte sulle questioni ambientali e sul rispetto dei diritti umani.
5 contee
E poi ci sono i proventi del turismo naturalistico, uno dei settori portanti dell’economia del paese. Prima della pandemia attirava almeno 2 milioni di visitatori all’anno. Una parte preponderante del giro d’affari del settore finisce alle compagnie, e la Ntr è tra le maggiori, che gestiscono i parchi, le riserve e i resort esclusivi. Di questo giro d’affari che vale milioni di dollari alle comunità arriva ben poco.
Nel rapporto ad esempio si legge che un tour operator avrebbe stipulato un contratto con un gruppo maasai in cui è previsto l’uso esclusivo di 5000 ettari di terra (il 20% del loro territorio) in cambio del 15% dei guadagni. Le comunità locali sottolineano, inoltre, che spesso gli accordi non sono trasparenti ma passano attraverso trattative con leader e amministratori locali che sono stati corrotti con denaro e la promessa di posti di potere.
Per di più generalmente vengono “cedute” alle riserve le terre migliori. E questo succede, per quanto riguarda la Nrt, in contee dagli equilibri ambientali e sociali delicatissimi, come Marsabit, Isiolo, Turkana, Baringo, Samburu abitate da gruppi che vivono di pastorizia tradizionale e investite dai cambiamenti climatici per cui a sempre più frequenti devastanti siccità seguono altrettanto devastanti alluvioni. I conflitti per le risorse sempre più scarse sono all’ordine del giorno. E spesso, afferma la popolazione locale, i ranger armati della Nrt non rimangono neutrali.
Si può dire che, per salvaguardare l’ambiente e proteggere la fauna e la flora selvatica, la Nrt ha sviluppato un modello definito nel rapporto come “protezione ambientale fortificata” che suscita molte riserve nel paese ma sembra essere sostenuto dal governo, tanto che diversi ministeri sono rappresentati nel board dell’organizzazione.
La Nrt inoltre agisce in stretta collaborazione con il Kenya Wildlife Service, un ente del ministero della natura e del turismo, nel cui comitato dei garanti il ministro in carica ha recentemente nominato Ian Craig. Decisione appresa con costernazione dagli ambientalisti locali che vedono nella privatizzazione di fatto della salvaguardia ambientale un pericolo per il paese tutto e non solo per i diritti delle comunità locali.
La Nrt ha contestato il rapporto. Non poteva fare altrimenti. Ma i fatti raccontati e le testimonianze raccolte sono cosí pregnanti che diversi grandi donatori avrebbero deciso di condurre una loro inchiesta indipendente per approfondire le accuse lanciate dalla ricerca dell’Oakland Institute. Un risultato non di poco conto se si pensa al groviglio di legami politici interni e con il mondo ambientalista internazionale che ha finora spinto, e protetto, le attività della Nrt.