Il 2022 è anno di elezioni in Kenya. La commissione elettorale – Iebc, Indipendent Electoral and Boundary Commission, che, tra le altre, ha anche la competenza di disegnare i collegi elettorali – ha ufficialmente fissato il calendario. I kenyani si recheranno alle urne il secondo martedì di agosto, cioè il 9, come stabilito dalla costituzione.
Non era del tutto scontato. Nel corso del 2021 c’erano state pressioni per uno slittamento del voto allo scopo di svolgere un referendum popolare su alcuni cambiamenti alla costituzione vigente – approvata nel 2010 – proposti dal presidente Uhuru Kanyatta e sostenuti da un ventaglio di forze politiche, tra cui l’Odm di Raila Odinga, leader dell’opposizione ma in questa legislatura di fatto associato al governo. La proposta, conosciuta nel paese come Bbi (Building Bridge Initiative – Iniziativa per costruire ponti), è stata fermata dalla corte costituzionale alla fine di una dura battaglia legale per vizi nella sua presentazione.
I risultati del voto dovranno essere resi pubblici entro il 15 dello stesso mese. Gli elettori eleggeranno nello stesso giorno il presidente, i membri delle due camere del parlamento nazionale, i governatori delle 47 contee e le relative assemblee. Ѐ dunque un appuntamento molto impegnativo, sia dal punto di vista politico che organizzativo e logistico. E atteso, non senza apprensione, dal momento che nella storia del paese quasi ogni tornata elettorale è stata segnata da violenze, contestazioni e incidenti.
Pericolosi precedenti
Si ricordano, in particolare, le elezioni del 2007, quando il paese arrivò sull’orlo della guerra civile. Nei disordini post elettorali, che sconvolsero soprattutto Kibera, il più affollato slum di Nairobi, e la regione della Rift Valley, si contarono almeno 1.200 morti e 500mila sfollati.
Fu necessaria una mediazione internazionale per comporre il conflitto che opponeva la coalizione data per vincitrice – formata dal presidente Mwai Kibaki e da Uhuru Kenyatta, allora suo vicepresidente – e quella data per perdente – formata da Raila Odinga, che correva per la presidenza, e William Ruto che avrebbe dovuto essere il suo vicepresidente.
Per gli incidenti vennero chiamati a rispondere alla Corte penale internazionale – istituzione prevista dallo Statuto di Roma – Uhuru Kenyatta, William Ruto e alcuni altri. Kenyatta venne quasi immediatamente prosciolto. Anche il processo a Ruto si risolse in un nulla di fatto. Al momento dell’apertura dell’inchiesta, il parlamento approvò una mozione che chiedeva l’uscita del paese dallo statuto di Roma, un segnale evidente della mancanza di volontà di collaborare, denunciata più volte dai giudici internazionali nel corso del procedimento.
Non meno problematiche furono le ultime elezioni, svoltesi nell’agosto del 2017, che pure furono caratterizzate da abusi e violenze, documentate da rapporti di organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani. Con ogni probabilità vennero precedute anche da un delitto. Pochi giorni prima dell’apertura delle urne venne trovato torturato e ucciso Christopher Msando, il funzionario della commissione elettorale competente per l’informazione e il funzionamento del nuovo sistema elettronico di conteggio dei voti.
Si ipotizzò che non avesse voluto rivelare la password del sistema ai suoi rapitori e che per questo fosse stato tolto di mezzo. Il delitto è rimasto impunito e nessuna ipotesi sulle sue ragioni confermata o smentita. Ma l’episodio aveva chiarito che la competizione sarebbe stata senza esclusione di colpi e che la commissione elettorale sarebbe stata al centro delle tensioni.
Nel 2017 candidati erano Uhuru Kenyatta, presidente uscente che si presentava per il secondo e ultimo mandato con William Ruto come vicepresidente designato, e Raila Odinga come maggior sfidante. La vittoria venne assegnata per una manciata di voti a Uhuru e Ruto. Odinga presentò ricorso, affermando che il sistema elettronico di voto era stato hakerato, e lo vinse.
La Corte Suprema cancellò il risultato, smentendo il verdetto della commissione elettorale. Era la prima volta che succedeva in un paese africano. Le elezioni vennero ripetute in ottobre e la vittoria venne assegnata ancora ad Uhuru, ma persistevano dubbi sulla regolarità dello svolgimento delle operazioni e del conteggio dei voti.
Il paese uscì dalle elezioni drammaticamente diviso. La composizione delle pericolose tensioni fu dovuta ad un accordo post elettorale, descritto nel paese come “Handshake” (stretta di mano) tra il presidente Uhuru Kenyatta e il suo sfidante Raila Odinga, che venne di fatto associato al governo.
William Ruto, il vicepresidente, rimase praticamente schiacciato dall’accordo e cercò di uscire dall’angolo dove era stato relegato con iniziative che di fatto si opponevano alle politiche concordate tra i due alleati che si erano stretti la mano. Le tensioni con il presidente si acutizzavano ad ogni provvedimento in discussione e soprattutto svaniva l’ipotesi, probabilmente frutto di un accordo pre-elettorale, di raccoglierne direttamente il testimone alla fine del suo mandato.
2022: la sfida Odinga-Ruto
Ѐ in questo clima che si è operato l’ennesimo ribaltone nella storia politica del paese. Per cui alle prossime elezioni Raila Odinga – 77 anni, una vita spesa come leader dell’opposizione – avrà l’appoggio di Uhuru Kenyatta, circostanza inimmaginabile fino a pochi mesi fa. E si misurerà con William Ruto, 54 anni, che si è posizionato nei diversi campi nel corso degli anni, sempre con l’ambizione dichiarata di diventare al più presto presidente.
La campagna elettorale, che ufficialmente dovrebbe iniziare il 30 maggio, di fatto è in pieno svolgimento da mesi. I due contendenti hanno già percorso il paese numerose volte per assicurarsi il sostegno dei diversi gruppi etnici che formano la popolazione del Kenya, contando su possibili cambiamenti rispetto agli schieramenti tradizionali dovuti allo shock per le nuove e inusitate alleanze.
Sono in bilico, in particolare, i voti del gruppo maggioritario, i kikuyu, che hanno sempre visto Odinga come un avversario irriducibile. Non è ancora chiaro se Kenyatta, esponente della famiglia che li ha sempre rappresentati, riuscirà a trascinarli compatti nella nuova alleanza. Dal loro voto dipenderà con ogni probabilità la vittoria alle prossime elezioni.
La competizione sarà dunque durissima e verrà regolata da una commissione elettorale sostanzialmente non diversa da quella che non aveva saputo essere sufficientemente credibile ed autorevole nel 2017. In particolare, è rimasto lo stesso il suo presidente, Wafula Chebukati, allora accusato di debolezza nella conduzione delle delicate operazioni in un contesto conflittuale.
A rendere ancor più delicata la situazione è la pandemia. Diversi osservatori politici locali si chiedono come sarà possibile svolgere la campagna elettorale e le operazioni di voto in sicurezza, dal momento che il virus non è debellato nel paese, che è ai primi posti nel continente per numero di contagiati e di morti, mentre la campagna vaccinale langue.
Si chiedono anche quali carte potranno spendere i candidati per convincere gli elettori a recarsi alle urne, in un paese drammaticamente impoverito, e non solo dalla pandemia, gravato da un debito enorme e pervaso da una corruzione pericolosa non solo per l’economia, ma per la sicurezza stessa della nazione.
Il 2022 sarà dunque un anno critico per il Kenya. Elezioni finalmente pacifiche e credibili potrebbero essere una pietra miliare per l’evoluzione e il consolidamento democratico del suo contesto sociale e politico. Le premesse fanno pensare che l’obiettivo non potrà essere facilmente raggiunto. I prossimi mesi ci diranno quanto sarà possibile almeno avvicinarlo.