In Kenya, la pandemia per il virus Covid 19 ha aggravato la già delicata situazione debitoria. Secondo dati diffusi alla fine di gennaio dalla banca centrale, il debito pubblico ammontava a 66,1 miliardi di dollari. Era cresciuto di 11,8 miliardi rispetto all’anno precedente, in cui raggiungeva la già ragguardevole cifra di 54,3 miliardi.
L’indebitamento sarebbe destinato a crescere ancora nei prossimi due anni. Secondo stime diffuse dalla Rete europea sul debito e lo sviluppo Eurodad – formata da 54 organizzazioni della società civile di 28 paesi europei; per l’Italia ne fa parte Re:Common -, il debito pubblico del paese potrebbe arrivare al 66,8% del Pil entro il 2023, dieci punti percentuali in più rispetto al periodo pre-crisi dovuta al contagio da coronavirus.
Ѐ evidente che, anche in Kenya, la pandemia ha accelerato il processo di indebitamento. “Lo scoppio del Covid-19 nel paese ha visto il governo chiedere maggiori prestiti per sostenere la sua risposta all’emergenza sanitaria”, dice l’articolo La montagna del debito pubblico del Kenya: è sostenibile? pubblicato già all’inizio di gennaio sul sito Businnes Daily. Preoccupa, in particolare, il fatto che un debito maggiore sia contestuale ad una contrazione complessiva delle risorse disponibili.
La scheda relativa al Kenya di Eurodad afferma, infatti, che le misure adottate dal governo per contenere il contagio hanno avuto un pesante impatto sull’economia del paese, tanto che il Pil, per la prima volta dopo molti anni, ha subito una riduzione pari a oltre l’1,4%. Vi si dice anche che la pandemia ha aggravato le condizioni di vita della popolazione.
I dati finora disponibili evidenziano che nel 2020 sono stati persi almeno 70mila posti di lavoro, un numero notevole se si pensa che l’83% della forza lavoro è collocata nel settore informale, e dunque non è contabilizzata nei dati ufficiali. Ma sembra appurato che proprio il settore informale, che non gode neppure di garanzie previdenziali e di sussidi statali, sia quello che ha subito il più grave impatto per la lunga chiusura di attività in cui è tradizionalmente impiegato: i trasporti, il commercio al dettaglio, la ristorazione, l’accoglienza, la stessa agricoltura.
Il piano per affrontare la crisi economica conseguente e alleviare le difficili condizioni di vita degli strati più deboli della popolazione ha messo a disposizione una somma pari allo 0,8% del Pil. Ma non si è trattato di una spesa aggiuntiva. Lo stanziamento è stato invece ricavato da tagli in altri settori, che si sono visti dunque ridurre complessivamente dell’1% circa del Pil le risorse disponibili alla gestione corrente e allo sviluppo. Circostanza che potrebbe avere gravi ripercussioni nel processo di sviluppo del paese nei prossimi anni.
La scheda di Eurodad continua dicendo che per far fronte alle evidenti difficoltà, il governo ha chiesto e ricevuto un primo prestito di 788 milioni di dollari dal Fondo monetario internazionale (Fmi) e dalla Banca mondiale (Bm). L’intenzione di chiedere un ulteriore prestito è stata resa nota dal governo di Nairobi il 3 novembre scorso. La trattativa si è conclusa all’inizio di aprile, con la concessione di 2,34 miliardi di dollari da parte del Fmi, da stanziare in più trance nell’arco di tre anni.
L’istituzione finanziaria ha preteso però serie contropartite, allo scopo di ristrutturare il settore finanziario pubblico e fermare l’emorragia di risorse. Tra i provvedimenti imposti, alcuni sono relativi alla trasparenza nei contratti di acquisto dell’amministrazione pubblica e nelle gare di appalto. Altri riguardano le dichiarazioni patrimoniali dei dirigenti statali e le regole sul conflitto di interessi. Altri ancora puntano all’applicazione nel paese, delle regole internazionali antiriciclaggio.
La dichiarazione del Fmi, decisamente pesante per la credibilità stessa della leadership, è piombata in un paese già in fermento per la richiesta di un ulteriore prestito in una situazione di contrazione economica, che, a causa dell’aumento del servizio al debito, avrebbe con ogni probabilità ridotto, almeno nel breve periodo, le risorse diponibili per i servizi di base alla popolazione già impoverita. E questo a fronte di sempre nuovi episodi di una rampante corruzione (il Kenya occupa la posizione 124 su 180 paesi nell’ultimo indice di percezione della corruzione mondiale di Transparency International).
Il 16 aprile, il settimanale regionale The East African commentava la situazione in un articolo dal titolo Il vero peso del debito in Kenya è la corruzione, dove snocciolava episodi eclatanti a dimostrazione di un pervasivo uso delle risorse pubbliche a scopi privati. Un malcostume radicato fin nei primi governi del Kenya indipendente, quelli di Jomo Kenyatta e di Daniel Arap Moi, che avevano costruito un sistema di gestione che facilitava il passaggio dei fondi pubblici in mani private. Tra gli esempi, i monopoli statali che sono perennemente in grave debito mentre i loro dirigenti sono tra gli uomini più ricchi del paese.
Nel 2018, dice l’articolo, il revisore generale dello stato aveva riportato la perdita di 46 miliardi di dollari nell’arco di cinque anni per malagestione. Altri rapporti stimano che, in ogni anno fiscale, almeno un terzo del budget statale alimenti i molti rivoli della corruzione. Qualcuno calcola che la cifra sia anche maggiore. “In altre parole – conclude l’articolo – in ogni anno finanziario si perde per la corruzione una somma equivalente ai 257 miliardi di scellini (2 miliardi di dollari circa) presi in prestito dal Fmi, provvedimento che ha scatenato lo sdegno attraverso i social media”.
L’articolo di fatto sostiene che il problema non sono i prestiti, ma come i fondi resi disponibili vengono utilizzati. “Nessun paese al mondo può sopravvivere senza prestiti. Il problema è se i prestiti sono usati in modo rigoroso per i progetti per cui sono stati chiesti e se questi progetti aggiungono valore all’economia. Alcune infrastrutture, come le strade, sono essenziali all’economia. Altre, come le dighe inutili, rappresentano un’entratura per la corruzione”.
Le mani lunghe della corruzione non sono state lontane neppure dai fondi per affrontare la pandemia. Fin dallo scorso settembre, almeno 15 funzionari di alto livello e uomini d’affari sono stati accusati di aver usato impropriamente milioni di dollari destinati ad acquistare presidi sanitari per affrontare il contagio da Covid-19.
I kenyani sono assolutamente e lucidamente consapevoli del pericolo rappresentato dalla corruzione, tanto che a ridosso del giorno in cui il Fmi rendeva nota la concessione del prestito, su twitter, il gruppo Kenyan on Twitter, conosciuto con la sigla #KOT, organizzava una campagna per chiedere che non si concedessero più prestiti al paese. Il ministro delle finanze, Ukur Yatani, ha difeso il prestito, dicendo che i fondi servono per evitare una incombente crisi umanitaria, ma la gente non ne è affatto convinta, dice un articolo pubblicato dal sito della BBC lo scorso 8 aprile.