I rappresentanti di 175 nazioni sono riuniti da ieri e fino al 19 novembre a Nairobi, in Kenya, per negoziare quali misure concrete includere in un trattato mondiale legalmente vincolante per ridurre l’inquinamento causato dalla plastica.
L’incontro è il terzo di cinque sessioni (le ultime due si terranno in Canada e Corea del Sud) di un processo accelerato, avviato lo scorso anno dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), che mira a concludere i negoziati nel 2024, in modo che questo primo trattato possa essere adottato entro la metà del 2025.
Con questa nuova serie di incontri, si comincia dunque a entrare nel vivo delle problematiche e su come affrontarle, con un esame della prima bozza di testo del trattato pubblicata a settembre e di tutta l’ampia gamma di opzioni politico-economiche in esso contenute: dalle più blande alle più restrittive.
Fronti opposti
Ma, nonostante la conclamata urgenza planetaria di eliminazione della produzione di materie plastiche – che già contaminano acqua, terra e aria, entrando nelle catene alimentari e nel sangue – si registrano due posizioni contrastanti su cosa questo trattato dovrebbe contenere.
Da un lato ci sono le circa 60 nazioni cosiddette “ad alta ambizione” – tra queste Rwanda, Norvegia e i membri dell’Unione Europea – che chiedono regole vincolanti per ridurre l’uso e la produzione di plastica.
Dall’altro lato ci sono invece paesi – tra cui Stati Uniti, Cina, India, Russia e Arabia Saudita, che sono anche tra quelli più inquinanti – intenzionati a proteggere le loro produzioni petrolifere e di materie plastiche, che chiedono di puntare unicamente sul riciclaggio e una migliore gestione dei rifiuti.
Si prevede dunque che i negoziati – ai quali partecipano circa 2mila delegati, tra cui rappresentanti dell’industria petrolchimica, organizzazioni ambientaliste e gruppi della società civile -, diventeranno sempre più accesi man mano che i dettagli verranno definiti.
Cosi come nei negoziati delle Nazioni Unite su clima e biodiversità – il vertice annuale (COP28) si apre il 30 novembre negli Emirati Arabi Uniti – uno dei punti di tensione riguarda anche i finanziamenti, con il timore di alcuni paesi che le norme pesino sulle loro economie, e le proteste di altri poco inquinanti, come i paesi africani, sempre più sommersi dalla plastica.
Il timore è che si finisca per arrivare a un compromesso che non garantisca gli interventi drastici e globali di riduzione di cui il pianeta ha disperato bisogno.
I numeri dell’emergenza
La produzione di plastica è raddoppiata in 20 anni e, secondo l’OCSE, attualmente è di 460 milioni di tonnellate all’anno, di cui almeno 14 milioni di tonnellate finiscono negli oceani, secondo stime dell’Unione internazionale per la conservazione della natura.
Numeri, già impressionanti, che paiono destinati a triplicare entro il 2060 in assenza di interventi draconiani.
Circa due terzi dei rifiuti di plastica vengono scartati dopo essere stati utilizzati solo una o poche volte, e solo il 9% viene riciclato, con milioni di tonnellate scaricate nell’ambiente o bruciate in modo improprio.
Aprendo i colloqui, il presidente del comitato negoziale intergovernativo, il peruviano Gustavo Meza-Cuadra Velasquez, ha avvertito che l’inquinamento da plastica rappresenta «una minaccia diretta al nostro ambiente, alla salute umana e al delicato equilibrio del nostro pianeta» ma, ha aggiunto, «noi abbiamo il potere collettivo di cambiare questa traiettoria».