La petizione contro i risultati delle elezioni presidenziali del 9 agosto, presentata ieri da Raila Odinga alla Corte suprema è una bomba, scrive oggi in prima pagina il Daily Nation, il quotidiano più diffuso del paese.
Alla scadenza del termine di legge di una settimana dalla proclamazione del vincitore, Odinga si è presentato al tribunale letteralmente con un camion di documenti in cui, dice, ci sono le prove dei brogli perpetrati durante il conteggio dei voti dalla Commissione elettorale nazionale (Iebc, Indipendent Electoral and Boundaries Commission).
Il passo del candidato dato perdente per una manciata di voti era scontato, soprattutto dopo che era stato auspicato chiaramente dalla vicepresidente della Iebc, Juliana Cherera, spalleggiata da tre commissari (la maggioranza della commissione, formata da sette persone) che non ha avvallato i risultati proclamati dal presidente, Wafula Chebukati, che si trova ora potenzialmente nell’occhio del ciclone.
La vicepresidente, in una conferenza stampa tenuta prima della dichiarazione dei risultati, aveva parlato di mancanza di trasparenza dell’intero processo di conteggio e di conduzione autoritaria dei lavori da parte del presidente, non conforme al ruolo e alle competenze che la legge gli attribuisce.
Il giorno successivo aveva esplicitato i motivi di una rottura così clamorosa. In particolare aveva esposto numerosi problemi formali nei verbali finali della Iebc, quali il totale delle percentuali dei voti espressi, ammontante al 100,01% chiaramente non ammissibile, la mancanza del numero totale dei votanti, dei voti validi, dei voti non validi, che costituiscono il fondamento matematico delle percentuali in base alle quali si possono esprimere risultati credibili.
Sembrerebbe che i legali di Odinga abbiano potuto documentare quanto fatto capire dalla vicepresidente. In particolare, secondo l’analisi dei voti da loro effettuata, il presidente eletto, William Ruto, non avrebbe raggiunto il quorum del 50% + 1, necessario per essere dichiarato vincitore al primo turno. Aggiungono che i voti di ben 27 circoscrizioni elettorali non sarebbero stati inseriti nel conteggio finale.
Chiedono perciò che si effettui una riconta, in base alla quale, sono certi, la vittoria sarebbe data al loro patrocinato. Nel caso la corte decidesse per la ripetizione delle elezioni presidenziali (cosa peraltro già accaduta nel 2017 con Odinga che correva contro Kenyatta), chiedono che il processo sia condotto da un’altra commissione elettorale, dato che quella in carica ha dimostrato di non essere affidabile e credibile.
Sono gravissime le accuse lanciate alla Iebc dalla coalizione che sosteneva la corsa di Raila Odinga alla presidenza. Tra le altre, l’aver contrattato degli hackers per penetrare nel sistema informatico e modificare i risultati in favore di Ruto, in particolare quelli della sua roccaforte nella Rift Valley. Si sarebbe trattato «di un ben architettato schema per manipolare le elezioni di quest’anno», avrebbe concluso Odinga in una conferenza stampa al momento della consegna della petizione.
La Corte suprema, guidata per la prima volta nel paese da una donna – Martha Koome, nominata l’anno scorso dal presidente uscente Uhuru Kenyatta, sostenitore di Odinga – ha tempo fino al 5 settembre per esprimere il suo verdetto.
L’atmosfera nel paese è calma in superficie, ma circolano, passando di bocca in bocca, innumerevoli gravissime informazioni che, almeno per il momento, non trovano conferma o sono presto smentite dai fatti. Rendono però evidente che il paese è estremamente polarizzato e che la brace che ora cova sotto la cenere è tutt’altro che spenta. Ѐ solo, per il momento, tenuta a bada dai leader della coalizione perdente che continuamente e pubblicamente si appellano alla pazienza e alla pace.
Sono confermate invece le notizie della morte in seguito a tortura di uno dei funzionari della Iebc di Nairobi e quella, sospetta, di un altro suo collega incaricato della circoscrizione di Gichugu, nella contea di Kirinyaga, nel Kenya centrale.