Nel 2023, mentre in Italia si gridava all’invasione per le 157mila persone sbarcate lungo le nostre coste, i paesi del Corno d’Africa hanno dovuto affrontare e gestire milioni e milioni di profughi.
Stando ai dati dell’UNHCR, nel 2023 l’Africa orientale, tra Corno e regione dei Grandi Laghi, ha visto una presenza di ben 16,3 milioni di persone sfollate o rifugiate. Una cifra che porta con sé tutto il peso delle tragedie umanitarie che hanno colpito il continente nell’ultimo anno. Ma le crisi non si fermano: le Nazioni Unite prevedono che entro la fine del 2024 i numeri saliranno a 23,6 milioni. I conflitti armati in Sudan, Etiopia e Somalia, insieme alle sfide climatiche ed economiche, sono fattori determinanti di questa situazione.
Solo in Kenya, con una popolazione simile alla nostra (circa 53 milioni di abitanti), si parla di 743mila persone. In Etiopia di più di 3 milioni e mezzo.
La gestione di questi flussi, però, ha attirato l’attenzione degli osservatori internazionali per alcuni punti di successo. Secondo uno studio condotto dall’Istituto di studi strategici (ISS) del Sudafrica, il Kenya è riuscito a trasformare la migrazione in un motore di sviluppo sociale ed economico, creando nuovi posti di lavoro e stimolando la domanda di servizi.
Un esempio è il piano di Shirika, un accordo stretto dal governo keniano con le Nazioni Unite, il cui obiettivo è trasformare i campi profughi in centri urbani. Significa che i rifugiati potranno ottenere documenti d’identità e avviare attività produttive. Questo comporta sì la creazione di nuove opportunità per loro, ma garantisce anche che le comunità ospitanti ne traggano beneficio e si sviluppino insieme a loro, creando un precedente positivo per lo sviluppo inclusivo e la coesione della comunità.
Va sottolineato che, nonostante progressi significativi, le sfide e i margini di miglioramento non mancano, come sottolinea lo stesso studio. Manca, per esempio, un allineamento delle leggi nazionali alle norme internazionali. La ratifica, non ancora avvenuta, di trattati cruciali come la Convenzione del 1990 sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti, è una sfida che limita le protezioni offerte ai migranti e rifugiati. Anche la risposta alla tratta di esseri umani non si è ancora rivelata pienamente efficace.
Sono aspetti che il Kenya dovrà affrontare, data la previsione di un ulteriore aumento di profughi e sfollati, se vuole continuare a essere un esempio per la regione nella governance della questione migratoria. (AB)