Il presidente William Ruto comincia a rispondere alle richieste poste dalle proteste della GenZ nelle scorse settimane. Sintetizza il delicato momento delle difficili, ma improcastinabili, scelte una vignetta pubblicata il 6 luglio sul Saturday Nation, l’edizione del sabato del Daily Nation, il giornale più diffuso del paese.
Vi si vede un presidente preoccupato, rappresentato come Zaccheo, Zakayo in kiswahili, il pubblicano odiato in Palestina per il modo in cui raccoglieva le tasse, che vide Gesú da un sicomoro e decise di scendere dall’albero e convertirsi.
Anche Zakayo, il soprannome che i kenyani hanno dato al loro presidente, sta scendendo da un albero. Davanti a sé, un cellulare e un giovane che registra i tasti premuti. Alla scena assistono i ministri, timorosi di essere raffigurati in uno dei tasti resettati.
Per ora nessuno di loro ha perso il posto, ma i kenyani si aspettano un rimpasto – come richiesto dai giovani almeno per eliminare quelli accusati di corruzione – tanto da aver descritto l’ultima riunione dell’esecutivo come un’“ultima cena”. Ma i provvedimenti annunciati venerdì 5 luglio in una conferenza stampa tenuta alla State House, la residenza ufficiale del presidente, sembrano delineare già la volontà di iniziare a dialogare.
Tra le misure decise, parecchie tagliano drasticamente le spese e ridimensionano gli organici in molti settori. È stata annunciata, ad esempio, la chiusura di ben 47 aziende statali, evidentemente carrozzoni di dubbia utilità. Sono inoltre stati ridotti del 50% i consiglieri nelle istituzioni pubbliche, carica considerata generalmente come una sacca di clientelismo e di remunerazione per servizi resi, magari in campagna elettorale, a spese del contribuente.
Alcune voci di budget sono state rimosse o sospese, come, ad esempio, quelle destinate al segretario capo dell’ammistrazione, nuova carica istituita nell’occasione della legge finanziaria, o come quelle per le attività delle mogli del presidente e del vicepresidente, pure ritenute non giustificabili dai kenyani. Sospeso anche l’acquisto di nuove auto di servizio e aboliti i budget confidenziali, e dunque che non è necessario rendicontare, assegnati a tutti gli uffici pubblici. Sospesi anche tutti i viaggi “non essenziali” di funzionari statali.
Nei giorni precedenti alla conferenza stampa erano anche stati congelati gli aumenti di stipendio per parecchie cariche istituzionali, come il presidente del parlamento, e per molti parlamentari, i cui emolumenti non si differenziano sostanzialmente da quelli dei parlamentari italiani, tra i meglio pagati in Europa.
Il complesso delle misure annunciate ridurrebbe il bilancio di previsione del paese di 177 miliardi di scellini kenyani (pari a poco più di 1,380 miliardi di dollari), taglierebbe privilegi e instaurerebbe un periodo di austerità nell’amministrazione e nel governo che non sarà facilissimo far digerire ai funzionari e ai politici, ma che i kenyani vedono come un atto dovuto che li avvicina alla vita reale del paese, dove circa un terzo della popolazione vive ancora sotto la soglia di povertà.
Infine è stata prevista la formazione di una task force formata da 11 persone per effettuare un audit del debito pubblico. Tra i membri era stata nominata Faith Odihambo, presidente della Law Society del Kenya (LSK), che ha avuto un ruolo importante di denuncia degli abusi della polizia durante le manifestazioni di protesta dei giorni scorsi.
La LSK ha però declinato l’invito, osservando che il compito tocca all’ufficio dell’Auditor Generale dello stato e che una commissione ad hoc potrebbe addirittura essere tacciata di incostituzionalità. Un mezzo passo falso, sembra di capire, forse dovuto alla volontà di rispondere alle richieste di lotta alla corruzione scegliendo un modo non troppo diretto e dunque non troppo impegnativo dal punto di vista dei rapporti istituzionali.
Le misure, però, non sono state ritenute sufficienti da molti dimostranti che hanno scandito ancora lo slogan “Ruto must go” (Ruto deve andarsene) durante le iniziative organizzate dalla GenZ che si sono svolte ieri, 7 luglio, Saba Saba Day, una delle feste nazionali più sentite del paese.
La giornata ricorda la mobilitazione popolare del 7 luglio 1990, che chiedeva la fine del regime a partito unico allora vigente nel paese, sotto la presidenza di Daniel Arap Moi. Evidente il paragone con le dimostrazioni di questo periodo che la GenZ ha voluto sottolineare.
Due sono stati i momenti più significativi, entrambi per ricordare le vittime della repressione delle manifestazioni dei giorni scorsi, 39 secondo la Commissione kenyana sui diritti umani (KNCHR): una cerimonia funebre nella cattedrale e un concerto all’Uhuru Park, nel centro di Nairobi, cui hanno partecipato folle di decine di migliaia di persone, composte e commosse.
Molti personaggi pubblici e semplici cittadini hanno espresso il loro apprezzamento per il coraggio e la determinazione dei giovani che stanno indicando un nuovo modo di far politica che, nonostante tutto, ha già portato qualche frutto.