Il tema della transizione energetica è tra quelli centrali nel programma del Summit e della Settimana africana per il clima (African Climate Summit, ACS, Africa Climate Week, ACW) che si sono aperti ieri, luned ì 4 settembre a Nairobi, in preparazione della convenzione globale, Cop28, previsto per la prima metà del prossimo dicembre a Dubai.
L’energia nucleare è ritenuta in diversi paesi del continente una possibile e interessante alternativa ai combustibili fossili. Tra i paesi più determinati a esplorare il settore c’è il Kenya.
Sul Daily Nation del 1 settembre, in un articolo sponsorizzata da NuPEA, l’agenzia kenyana per l’energia nucleare, si legge: «Ci sono piani per utilizzare l’energia nucleare per produrre energia elettrica a partire dal 2034, allo scopo di raggiungere l’obiettivo di ridurre la produzione di anidride carbonica, di migliorare la stabilità e l’affidabilità del rifornimento e abbassare i costi».
Sembra che l’uso del nucleare sia inteso come parte della transizione verso le energie rinnovabili. Una posizione non prevista dalla legislazione europea, perché i reattori vanno alimentati con uranio e si producono scorie potenzialmente pericolose per migliaia di anni.
Nucleare per lo sviluppo del Kenya
Ma tant’è. Alex Wachira, primo segretario al ministero dell’energia del governo kenyano, sostiene che l’energia nucleare con la geotermica sono la base necessaria per stimolare lo sviluppo del paese. E aggiunge: «L’energia nucleare è uno strumento indispensabile per raggiungere l’agenda globale dello sviluppo sostenibile».
Parole che non danno adito a dubbi, pronunciate in occasione di un corso di formazione sullo sviluppo delle infrastrutture necessarie per la sua produzione. Il corso, iniziato il 28 agosto, si sta svolgendo in questi giorni a Mombasa. Un “summit tecnico”, si direbbe, cui partecipano delegati da 17 paesi, molti dei quali africani. Oltre al Kenya, sono presenti Algeria, Egitto, Senegal, Uganda Zambia, Nigeria, Ghana ed Etiopia.
Il corso, ospitato da NuPEA, è organizzato dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea) in collaborazione con il governo degli Stati Uniti.
I paesi africani e il nucleare
Non è da oggi che diversi paesi del continente dimostrano il loro interesse per la produzione di energia nucleare. Il Sudafrica, per ora, è l’unico ad avere una centrale attiva, ma almeno altri sette paesi hanno già intrapreso il processo per dotarsi di impianti nucleari. Tra di loro il Kenya che in questi giorni, a Mombasa, ha annunciato di aver intrapreso la realizzazione del proprio programma con l’individuazione di due possibili siti per la costruzione della sua prima centrale nucleare. Si trovano entrambi nelle vicinanze della costa, nelle contee di Kilifi e di Kwale.
Progetto da 50 milioni di dollari
La lista dei possibili finanziatori e/o supporter del progetto, stimato in 50 milioni di dollari, è nutrita. In un articolo del 2017, e che dunque potrebbe essere datato, si parla di interesse da parte di Cina, Russia, Corea del Sud, Slovacchia e Francia.
L’Egitto ha già cominciato a costruire il suo impianto che costerà 25 miliardi di dollari e sarà realizzato dalla multinazionale governativa russa dell’energia, Rosatom. Accordi con la Rosatom sono stati firmati anche dalla Nigeria, dalla Tanzania e dal Rwanda, mentre l’Uganda, che ha in progetto un impianto nucleare operativo nel 2031, ha siglato un accordo con il ministero dell’energia russo e con investitori cinesi. Anche in Sudan era iniziato il processo e anche nel suo caso l’accordo per lo sviluppo del progetto era stato firmato con la Russia. Ora il conflitto, scoppiato il 15 aprile scorso, lo ha ovviamente congelato.
È interessante notare come gli Stati Uniti, co-organizzatori del corso in svolgimento a Mombasa, sembravano essere, finora, non interessati al settore e ora stann, probabilmente, cercando di recuperare il tempo perduto.
Pronti per il nucleare?
L’Africa è pronta per gestire impianti nucelari? Se lo chiede anche l’Iaea e risponde sostanzialmente di sì. In ogni caso si spende per valutare l’esistente e migliorare le conoscenze tecniche, quelle di sua competenza. Ma oltre agli aspetti tecnici ed economici, andrebbero forse esaminati anche altri, politici e sociali. Ll’instabilità di diversi dei paesi interessati, lper citare forse il più delicato. Il mondo sta ora sperimentando con la guerra in Ucraìna cosa significhi avere una centrale nucleare ostaggio di possibili azioni di guerra
Dovrebbe far pensare il fatto, ad esempio, che in Kenya, forse il paese più pronto da un punto di vista tecnologico, si verificano frequentemente blackout che fanno piombare nel buio gran parte del paese. Per ripristinare l’erogazione dell’elettricità sono necessarie spesso lunghe ore, se non giornate intere. E nessuna spiegazione credibile viene data agli utenti. In un tale scenario, che garanzie ci sarebbero per la gestione di un impianto delicato, e potenzialmente pericoloso, come una centrale nucleare?