Per essere una indagine “a tutto campo” risulta un po’ smilza. Specie quando pretende di tracciare in poche pagine i contesti storici e culturali che dovrebbero far comprendere le origini della mafia nigeriana. Il testo risulta più efficace quando l’autore, che per trent’anni è stato al servizio del Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri (Ros), si limita a descrivere il fenomeno con lo sguardo e le competenze di chi deve contrastarlo e cita documentazioni specifiche.
Dunque in Italia la mafia nigeriana è diffusa nel centro-nord e in Campania – meno nelle regioni del sud per via della concorrenza di Cosa Nostra e ’Ndrangheta – e ha collegamenti internazionali finalizzati alla tratta di esseri umani e al narcotraffico. L’organizzazione è attiva qui da noi da almeno vent’anni e sembra godere di ottima salute.
Le mafie, compresa quella nigeriana, con gli enormi flussi di denaro che generano, fanno parte a tutti gli effetti dell’architettura economica mondiale e quindi godono di relazioni e coperture piuttosto ampie. Di qui la difficoltà di combatterle.
Per quanto globalizzata, la mafia nigeriana per controllare i propri aderenti ricorre e rituali e a forme di “stregoneria” che attingono alla cultura del paese dell’Africa occidentale: alcune pagine sono dedicate anche a questo aspetto, in particolare ai riti di sottomissione delle ragazze che saranno poi avviate alla prostituzione. Secondo l’autore, se non si mettono in campo adeguate strategie, il fenomeno può diventare «una vera e propria emergenza sociale».