I dati pubblicati ieri dal rapporto di varie agenzie umanitarie delle Nazioni Unite (Programma alimentare mondiale – Pam, Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura – Fao e Organizzazione mondiale della sanità – Oms) su sicurezza alimentare e nutrizione sono davvero impressionanti.
Uno scenario catastrofico secondo cui, al livello di gravità della fame nel mondo riscontrato nel 2020, specie a causa del Covid-19, si sono aggiunti il conflitto Russia-Ucraìna con la crisi dei cereali e gli effetti del degrado ambientale e del cambio climatico che possono provocare la morte per fame di centinaia di milioni e apocalittiche migrazioni di massa.
Già lo scorso anno, dicono i dati, 828 milioni di persone, cioè quasi l’8% della popolazione mondiale, erano in avanzato stato di denutrizione, cioè 46 milioni in più rispetto al 2020 e 150 milioni in più rispetto al 2019. All’opposto, tra il 2015 e il 2019 il livello di crisi alimentare mondiale era rimasto pressoché immutato.
A livello regionale, la fame ha continuato ad aumentare in Africa, dove sono state colpite 278 milioni di persone, in Asia (425 milioni) e in America Latina e Caraibi (56,5 milioni).
Attualmente 750mila persone stanno affrontando condizioni di fame in cinque nazioni – Etiopia, Yemen, Sud Sudan, Afghanistan e Somalia -, avverte l’organizzazione Save the Children, a causa della siccità che si aggiunge agli effetti di conflitti, instabilità politica e della pandemia. E i primi a morire di fame e di sete sono i bambini.
Nel Corno d’Africa, prosegue l’ong, oltre 18 milioni di persone si trovano attualmente ad affrontare una grave insicurezza alimentare. In Somalia i bambini che soffrono di malnutrizione sono in rapido aumento e si prevede che 1,5 milioni saranno gravemente malnutriti entro la fine dell’anno.
Situazione critica anche in alcune zone del nord del Kenya, dove l’unica acqua disponibile proviene dagli abbeveratoi per il bestiame, con conseguente diffusione di malattie, mentre nella vicina Etiopia si registra un allarmante aumento di episodi di animali selvatici affamati che attaccano persone che trasportano cibo. In Sud Sudan circa il 63% della popolazione – 7,7 milioni di persone – è alle prese con alti livelli di insicurezza alimentare e in Sudan sono 18 milioni le persone a rischio fame acuta entro settembre.
Grave anche la situazione nella Repubblica democratica del Congo, con almeno 27 milioni di persone che si trovano ad affrontare l’insicurezza alimentare, secondo le Nazioni Unite. Altri 27 milioni sono nelle stesse condizioni in Africa occidentale e nel Sahel.
Prospettive nefaste
David Beasley, direttore esecutivo del Pam, ha dichiarato: «Esiste un reale pericolo che queste cifre aumentino ancor di più nei mesi entranti», vista l’inarrestabile ascesa dei prezzi del cibo, dei carburanti e dei fertilizzanti, dovuta soprattutto al conflitto in Europa e alla speculazione collegata. «Il risultato – sostiene Beasley – sarà una destabilizzazione globale, denutrizione e migrazioni di massa a un livello mai visto. Dobbiamo agire ora per scongiurare una catastrofe incombente».
Russia e Ucraìna sono notoriamente terzo e quarto maggiore esportatore di granaglie al mondo, e la Russia anche di carburante e di fertilizzanti. La guerra ha bloccato queste esportazioni provocando l’immediato aumento dei prezzi e la reazione in molti paesi già duramente provati dalla pandemia.
Tra l’altro, anche le agenzie umanitarie subiscono gli effetti del conflitto, tant’è che il Pam ha già dovuto tagliare molti aiuti e forniture di cibo anche ai paesi in maggiore necessità, come il Sud Sudan.
Nel 2020, secondo i dati del rapporto, il 22% dei bambini sotto i cinque anni hanno sofferto di rachitismo nelle aree di denutrizione, mentre 45 milioni hanno sofferto di una progressiva debilitazione fisica che conduce alla morte. Ancora una volta, inoltre, si nota il disequilibrio di genere, per cui sia in America Latina che nei Caraibi e in Asia nel 1921 le donne che hanno sofferto di insicurezza alimentare sono state il 31.9% a fronte degli uomini che ne hanno sofferto per il 27.6%.
Auspicando una revisione della politica agricola, il rapporto scrive: “I settori agricolo e alimentare hanno raccolto quasi 630 miliardi di dollari che hanno contribuito a distorcere i prezzi di mercato perché non sono giunti ai piccoli agricoltori, hanno contribuito invece ad aggravare il deterioramento dell’ambiente e non hanno sostenuto la produzione di cibo ad alto valore nutritivo. Gli aiuti maggiori sono andati a alimenti base colmi di calorie come cereali, carne, latticini e zucchero, a spese di cibi più nutrienti e salutari come frutta, verdure, legumi e olio di semi”.
Il rapporto rivela che 11 milioni di persone muoiono a causa di diete non salutari. Tutto ciò contribuisce tra l’altro ad aumentare ancor di più i prezzi dei prodotti. Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms afferma: «L’Oms promuove lo sforzo dei paesi che favoriscono sistemi alimentari e governi impegnati a migliorare la qualità del cibo, tassando i cibi malsani, sostenendo le scelte in favore della salute, proteggendo i bambini da forme deleterie di mercato e che garantiscono etichette chiare circa la qualità nutrizionale».
Una raccomandazione finale del rapporto è “che i governi pensino a come rimodulare i propri bilanci pubblici per renderli più accessibili per i costi e più efficienti nel ridurre, appunto, la spesa per i cibi più nutrienti, promuovendo nel contempo la possibilità di seguire diete più salutari”.