Considera il capitalismo finanziarizzato, con la sua «escatologia della proprietà privata», un progetto che ci sta portando, noi cittadini europei che contribuiamo a far girare questo capitalismo, a disinteressarci di tutto ciò che è collettivo e a considerare con fastidio la sfera pubblica, preoccupandoci esclusivamente di quella privata.
La crisi finanziaria, scoppiata nel 2007, ha sancito il fallimento di questa dottrina dei fini ultimi privati e la crisi climatica ha evidenziato che i criteri di “crescita” vanno rivisti e che dobbiamo cambiare radicalmente il modo di consumare e produrre così come abbiamo fatto fino a oggi. Come ne usciamo?
Secondo l’autore, gesuita, economista e teologo, la transizione ecologica «potrebbe davvero rappresentare, almeno fino alla fine di questo secolo il vero progetto collettivo di cui le nostre società postmoderne soffrono così crudelmente la mancanza». Un progetto collettivo che ponga al centro i beni comuni.
Qualcuno penserà, ecco il solito gesuita rivoluzionario che ci vuole insegnare come stare al mondo. Non è così, semmai siamo di fronte a un gesuita che vuole riformare l’economia di mercato dandole una valenza relazionale e combinandola con l’antropologia delineata dall’enciclica Fratelli tutti e la cosmologia cristocentrica dell’enciclica Laudato si’.
L’obiettivo del libro «non è cercare i colpevoli, ma trovare le soluzioni». Soluzioni che sono delineate e che andrebbero costruite e articolate con la collaborazione dei più, se non di tutti.
Le pagine aiutano a riflettere sul perché l’economia è in stallo già dalla rivoluzione industriale; perché la politica, le istituzioni pubbliche internazionali e i grandi soggetti privati stanno dando ampie prove di cecità; in che modo può trasformarsi l’Europa «se affrontiamo seriamente le sfide ecologiche in un mondo post-crescita».
E c’è un capitolo dedicato al ruolo che la Chiesa può assumere: prendendo parte alla discussione, incoraggiando le istituzioni e difendendo sempre le vittime degli errori, e talora della malefatte, dell’economia e della politica.
C’è un passaggio, nel segmento dedicato alla Chiesa, che ha a che vedere con il mercato e che spiega con chiarezza le logiche e il convincimento di tanti «che la vita sia un’immensa menzogna o una grande trappola».
Le tradizioni cristiane non hanno mai accettato l’hobbesiano “homo homini lupus” «secondo cui in mio vicino è un lupo e da tale si comporta nei miei confronti. Non è vero: quell’uomo è prima di tutto un fratello a cui il mondo è stato affidato, come è stato affidato a me, perché insieme lo facciamo crescere. È facile convincersene? Forse non c’è nulla di più difficile… Ma niente è più indispensabile».