Il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov è rientrato ieri a Mosca al termine di un nuovo viaggio in Africa, il secondo in poche settimane, che ha toccato Mali, Mauritania e Sudan.
Un viaggio che, come il precedente, in gennaio, in Sudafrica, Botswana, eSwatini, Eritrea e Angola, è finalizzato a rafforzare vecchi legami, crearne di nuovi – anche per accrescere il sostegno nelle votazioni al Consiglio di sicurezza Onu – e in generale ad aumentare l’influenza della Russia nel continente.
Un’impressionante offensiva diplomatica, se si tiene conto anche del viaggio del luglio 2022 in Egitto, Repubblica del Congo, Uganda ed Etiopia, e del prossimo, previsto a breve in Tunisia, Mauritania, Algeria e Morocco.
Una politica espansiva che si completa con un secondo vertice Russia-Africa, in programma a fine luglio a San Pietroburgo.
In quest’ultimo tour Lavrov è tornato a propagandare la retorica anti-colonialista con la quale sta cercando – con successo, peraltro – di scalzare l’influenza di Francia e Stati Uniti, in particolare nella fascia del Sahel.
Ha plaudito la nuova alleanza tra le giunte militari golpiste di Mali, Burkina Faso e Guinea e agli stati dell’Africa occidentale ha offerto sostegno nella lotta al terrorismo. Aiuti che si tradurrebbero in un aumento della presenza di gruppi paramilitari come l’ormai famigerato Wagner, “schierato – ha ricordato il diplomatico – su richiesta diretta dei governi”, in cambio di accesso a risorse indispensabili per Mosca, come oro e diamanti, e a località e strutture geostrategiche.
Ѐ il caso del Sudan, ultima tappa del tour di Lavrov e paese con una lunga storia di alleanza con la Russia. A Khartoum la missione del ministro degli esteri è stata duplice: da un lato garantire la presenza dei mercenari di Wagner e l’accesso ai minerali preziosi, in particolare nel Darfur e nel triangolo di confine tra Sudan, Ciad e Repubblica Centrafricana, dall’altro portare a compimento il progetto di costruzione di una base navale russa a Port Sudan che consentirebbe a Mosca di posizionarsi al centro del prezioso nodo commerciale e strategico del Mar Rosso.
In cambio, Lavrov ha garantito il sostegno russo alla revoca delle sanzioni imposte al Sudan in sede Onu. Ma per portare a casa questi risultati il diplomatico ha dovuto trattare separatamente con i due vertici militari sudanesi, il capo del consiglio sovrano Abdel Fattah al Burhan e il suo vice Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti, capo dei paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf).
I rapporti tra i due sono infatti sempre più tesi per divergenze sostanziali nello sviluppo della politica interna e internazionale del paese.
A preoccupare le diplomazie occidentali (Stati Uniti ed Europa) è in particolare l’aumento dell’influenza esercitata dalla Russia attraverso Wagner, presente in Sudan dal 2017 e da allora legata alle Rsf di Hemetti. Il gruppo controlla molte miniere d’oro nel paese ed è attivo nel traffico attraverso società di comodo, sanzionate da Washington.
Non è un caso, evidenzia il media francese Rfi citando il Kommersant, che l’arrivo in Sudan di Lavrov, il 9 febbraio, sia “coinciso con la visita programmata da tempo di sei emissari europei e americani”. Interpellato su questo tema dal quotidiano russo, il capo della diplomazia di Mosca ha risposto: “Lo stesso gruppo era presente alla vigilia della nostra visita in Mauritania. Sembra che ci stiano seguendo passo dopo passo».