È una storia di famiglia, quella che abita questo romanzo. Una storia vera, tutta al femminile, che racconta di legami, di segreti, di qualcosa di magico che unisce, di cose che appaiono indicibili, che finiscono per accompagnare generazioni. Una storia di attese, di identità a cavallo di appartenenze, appartenenze interiori, che l’esterno non riconosce, perché spesso si ferma all’esteriorità.
Ma quel che determina chi siamo non sempre è visibile a occhio nudo, non se ha a che fare con “la signora Meraviglia”, la cittadinanza. Quel pezzo di carta così complicato da ottenere burocraticamente, fatto di documenti e rimandi, spesso senza senso. Un pezzo di carta che, una volta ottenuto, non sempre riesce a dirti agli occhi delle altre persone, quelle che sempre all’esteriorità si rifanno, che non hanno ne’ voglia ne’ tempo per fermarsi a comprendere.
Saba Anglana ci regala la storia della sua famiglia, tra Etiopia, Somalia e Italia; la narrazione di un trauma che sembra trasmettersi nei corpi attraverso cellule. Lo fa ripercorrendo un passato che intreccia con il presente, perché le identità non sono altro che mescolanze, meticciati, che mettono insieme radici, incontri, terre, possibilità. Solo chi non sosta a rifletterci per davvero, non lo comprende.
La comprensione delle cose ha bisogno di tempo e profondità, due ingredienti che sembrano mancare in questo oggi così frettoloso e superficiale. Sarà per questo che alla fine delle sue pagine questo libro sembra quasi un regalo, capace di restituire.