«Tutta la Chiesa soffre a causa delle uccisioni che continuano di Beni». È il grido di monsignor Francois Xavier Maroy Rusengo, arcivescovo di Bukavu, capoluogo della provincia del Sud Kivu nell’est della Repubblica democratica del Congo. «I nostri cuori sanguinano per Beni», gli fa eco monsignor José Moko Ekanga vice presidente della Conferenza episcopale congolese (Cenco).
Questi richiami sono riecheggiati domenica scorsa nella parrocchia di Santa Teresa d’Avila di Beni, nel Nord Kivu, durante la messa in occasione della visita di una delegazione composta da rappresentanti della Cenco e dell’Associazione delle Conferenze episcopali dell’Africa centrale (Aceac), che, a partire da venerdì scorso, ha deciso di portare solidarietà alle popolazioni della regione, che da anni sono sotto tiro di gruppi armati.
I massacri nella zona si intensificano infatti in prossimità del periodo dei raccolti del cacao. Proprio per questo l’arcivescovo tuona contro i ribelli e i loro crimini: «Sono ladri che vengono a raccogliere là dove non hanno seminato». Ma sono soprattutto le ricchezze del sottosuolo a interessare un numero non definito di gruppi armati che giorno e notte seminano il panico tra la popolazione.
Si tratta di bande armate, ognuna con il proprio acronimo e la propria specificità etnica o religiosa, che occupando diversi lembi di terra controllano minerali come cassiterite, oro, diamanti, coltan nell’impunità quasi totale e si muovono con disinvoltura grazie a una fitta rete di complicità locali. Queste bande commettono crimini efferati costringendo la popolazione alla fuga o al silenzio.
La Lucha denuncia
Negli ultimi 14 mesi, secondo i dati forniti dal movimento della società civile La Lucha, nella zona di Beni sono state uccise oltre 1.200 persone. Quasi tre al giorno. Secondo il movimento, ad essere responsabile di molte di queste uccisioni è il gruppo armato, di origine ugandese, delle Forze democratiche alleate (Adf).
La Lucha, molto attiva nella rivendicazione del rispetto dei diritti umani e nella richiesta di giustizia, ha dichiarato due giornate di lutto il 23 e 24 gennaio e lanciato un appello di aiuto alle popolazioni. «Mentre la classe politica fa fatica a risolvere i problemi delle popolazioni di Beni – afferma Steward Muhindo, membro della Lucha –, noi vogliamo testimoniare tutta la nostra solidarietà a questa gente e significare loro che i problemi che affrontano fanno soffrire anche noi in quanto congolesi».
Ormai non si contano le promesse della politica di riportare sicurezza e pace nel nordest del paese. Ma la capitale Kinshasa è lontana e le energie della politica da un paio dei mesi si consumano negli scontri interni ai due campi di forza alleati dalle elezioni del 2018, quello che sostiene l’attuale presidente Félix Tshisekedi e quello dell’ex presidente Joseph Kabila.
Tshisekedi ha avviato un processo di consultazione dei partiti e della società civile per trovare una nuova maggioranza parlamentare e provare a governare e a prendere seriamente in considerazione i conflitti che stanno balcanizzando il nordest.
In questo contesto la Monusco, la forza di mantenimento della pace dell’Onu, che conta su quasi 20mila soldati, non è spesso in grado di intervenire e la popolazione non si fida più della sua presenza. Anzi la popolazione di Beni accusa la Monusco di tacere di fronte alla persecuzione giudiziaria che subiscono i militanti locali della Lucha.
Otto di loro, arrestati un mese fa per una manifestazione contro il rinnovo della missione della Monusco nella città di Beni e accusati di violenze contro un guardiano e di sabotaggio nei locali della polizia, sono stati liberati proprio oggi dal Tribunale mentre il pubblico ministero aveva chiesto per loro, appena pochi giorni fa, dieci anni di prigione.
Lunedì 18 gennaio i vescovi hanno continuato la loro Via Crucis, celebrando due messe: a Beni città e a Mbau, una località a poco più di 20 km a nord di Beni. Qui i pastori hanno invitato la popolazione a non dimenticare i tre preti rapiti da oltre 8 anni nelle vicinanze, i 2 sequestrati a Bunkaya da oltre tre anni e molti altri civili fatti sparire negli ultimi anni.
Monsignor Ekanga si è appellato ai prigionieri e ha esortato i rapitori a cambiare rotta: «Tornate ad essere umani. Quando uccidiamo, rubiamo, facciamo violenza snaturiamo la nostra vera essenza di umani. Un umano non può commettere questi atti».
Padre Gaspare Di Vincenzo, comboniano a Beni racconta la visita dei vescovi nella martoriata regione: