Il 6 gennaio, grazie a un’operazione dell’Interpol, è stato arrestato in Sudan uno dei più ricercati, ed efferati, trafficanti di esseri umani, l’eritreo Kidane Zekarias Habtemariam, accusato di essere a capo di una rete criminale estesa in tutti i paesi dell’Africa Orientale e di aver indirizzato molte migliaia di migranti clandestini sulla rotta del Mediterraneo centrale, il cui approdo europeo sono molto spesso le coste italiane.
Il viaggio, per cui ogni vittima pagava migliaia di dollari, comportava, tra l’altro, lunghe detenzioni nei carceri libici e traversate del Mediterraneo su imbarcazioni fatiscenti ed inadeguate.
Kidane Zekarias Habtemariam sarebbe insomma il responsabile ultimo delle atroci sofferenze di migliaia di migranti dai paesi dell’Africa Orientale, la maggioranza dei quali eritrei, cioè suoi connazionali, e della morte nel Mediterraneo di molti di loro.
Sarebbe stato inoltre il gestore di alcuni campi di detenzione libici in cui sono transitati migliaia di persone in balia della rete criminale da lui organizzata. Avrebbe avuto infine solidi legami con altre reti di trafficanti a livello internazionale. Un vero capobastone, dunque.
Le ingenti somme guadagnate con questi crimini sono state la causa del suo arresto. L’operazione dell’Interpol è partita infatti negli Emirati Arabi Uniti da indagini su sospetti di riciclaggio e si è conclusa con il suo fermo in Sudan, che si conferma così come uno dei nodi più importanti del traffico di migranti illegali nell’Africa Orientale.
Il trafficante era già “titolare” di due segnalazioni alla polizia internazionale. L’Etiopia ne aveva denunciato la latitanza dopo la sua fuga durante un processo per traffico di esseri umani che si era concluso nel 2021 con la sua condanna all’ergastolo in contumacia.
L’Olanda lo accusava anche di essere responsabile di ricatti a coloro che erano riusciti a raggiungere l’Europa per obbligarli a consigliare e finanziare il viaggio a loro familiari.
Reti capillari
L’arresto di Kidane Zekarias Habtemariam è sicuramente una buona notizia che riporta l’attenzione su un settore criminale ormai molto radicato in Africa, e nel resto del mondo per dire la verità. Ma è solo l’ultimo episodio di una ormai lunga catena che non ha fermato il traffico di migranti clandestini. Anzi, nel corso degli anni, i trafficanti hanno esteso la loro rete e differenziato le loro rotte.
Per quanto riguarda il Corno d’Africa e l’Africa Orientale, accanto a quella più conosciuta, che si dirige alle coste del Mediterraneo passando per il Sudan e attraversando il deserto del Sahara, sembra essersene sviluppata un’altra che si dirige a sud, forse come prima tappa e probabilmente come diversivo, per evadere i controlli sempre più attenti sulla rotta tradizionale.
Sempre più frequentemente, infatti, le cronache raccontano di arresti in Uganda di cittadini kenyani impegnati nel traffico di migranti, generalmente eritrei.
Gli episodi sono diventati più frequenti, e se possibile più odiosi, con lo scoppio della guerra in Etiopia, nella regione del Tigray, dove si trovavano più di 100mila profughi eritrei, la maggioranza in due campi ufficiali distrutti durante le operazioni belliche dall’esercito nazionale etiopico sostenuto da quello eritreo. Molte altre decine di migliaia di eritrei vivevano ad Addis Abeba e nel resto del paese.
L’alleanza, anche militare, del governo etiopico con quello eritreo ha reso la loro permanenza nel paese rischiosa. Di molti dei profughi sloggiati dai campi del Tigray, ad esempio, si sono perse le tracce. Si può pensare che parecchi siano stati riportati a casa con la forza.
Altri si sono messi in cammino e, forse per le difficoltà logistiche dovute al conflitto nella regione, che confina con il Sudan, si sono diretti verso il confine meridionale, quello con il Kenya. Inoltre si ha notizia di un aumento notevole dei costi della tratta, almeno su questa rotta, più lunga e dunque ovviamente più costosa per le vittime ma soprattutto più lucrativa per i trafficanti.
Anche in questi primi giorni di gennaio si sono avute notizie di gruppi di eritrei arrivati a Nairobi, forse in modo indipendente, ma caduti quasi immediatamente nelle mani dei trafficanti che non si fanno scrupolo di contattarli per offrire i loro servizi riuscendo a bypassare le istituzioni del paese.
Di alcuni di loro si sa che sono già arrivati in Uganda dove la comunità eritrea è numerosa e ben inserita. Alcuni vi si fermeranno. Altri raggiungeranno il Sud Sudan, grazie ai commercianti eritrei che, da Kampala, quotidianamente riforniscono il paese di ogni genere di merce.
A Juba troveranno un lavoro, nero ma non più illegale di quello di tanti sudsudanesi, presso le ditte eritree che vi sono fiorite, soprattutto nel settore alberghiero, della ristorazione e dei trasporti.
Alcuni metteranno da parte i denari necessari per riprendere il cammino verso l’Europa, questa volta dirigendosi verso Khartoum e la rotta tradizionale del Mediterraneo centrale, che approda sulle nostre coste. In mancanza di vie migratorie legali e di protezioni internazionali, non potranno che affidarsi un’altra volta ai trafficanti.
Secondo esperti e ricercatori nel campo, nel continente sarebbero milioni le persone vittime di tratta ogni anno. I casi accertati sarebbero dai 50 ai 100mila. Un numero decisamente rilevante che rappresenterebbe però solo la punta dell’iceberg. Il traffico di esseri umani non riguarda solo i migranti illegali.
Ѐ un settore molto differenziato che comprende, tra gli altri, bambini presi in carico da reti di pedofili o impiegati in lavoro minorile spesso in condizioni di schiavitù, donne avviate alla prostituzione, giovani in cerca di un lavoro anche a costo di barattarlo con i propri diritti.
Nell’Africa Orientale, oltre agli eritrei in fuga da un regime che toglie loro ogni possibilità di autodeterminare il proprio futuro, sono vittime di tratta anche sudanesi che hanno perso la speranza nella normalizzazione della situazione del paese, giovani kenyani delusi dall’impossibilità di trovare un lavoro a casa, donne etiopiche che si sacrificano per procurare un reddito ad una famiglia indigente, famiglie che cercano di mettersi in salvo da sanguinosi e prolungati conflitti.
Khartoum, Addis Abeba, Nairobi, Kampala, Juba sono i gangli di una rete che, per operare, non può prescindere anche da solidi, e prezzolati, legami con funzionari e uomini delle forze di sicurezza locali. Lo testimoniano fonti giornalistiche e ricerche di organizzazioni internazionali competenti. Non è un caso, infatti, che la tratta metta radici e prosperi soprattutto in paesi instabili o corrotti, e non solo in Africa.