Sabato 17 dicembre 9,3 milioni di tunisini e tunisine sono chiamati a votare per eleggere i 161 deputati che siederanno nella nuova Assemblea dei rappresentanti del popolo. Dalla prossima legislatura, l’ex parlamento monocamerale, decurtato di cinquantasei seggi, rappresenterà la camera bassa, a cui si aggiungerà un senato che sarà eletto a febbraio.
Il nuovo assetto è stato disposto dalla Costituzione approvata il 25 luglio scorso da un controverso referendum voluto dal presidente Kais Saied, e nel quale hanno votato solo il 27,5% degli aventi diritto.
Questa mattina la radio e la televisione nazionali tunisine hanno annunciato uno sciopero generale per il 17 e 18 dicembre: le rivendicazioni della mobilitazione non sono direttamente legate al voto, ma la protesta contribuirà a indebolire consultazioni, già molto impopolari.
In dieci circoscrizioni è presente un solo candidato, in otto soltanto due, mentre in sette circoscrizioni estere non si è presentato nessuno. Questa situazione rischia di far slittare di mesi l’incarico dei nuovi parlamentari.
I risultati del primo turno sono attesi entro il 19 gennaio, mentre quelli del secondo, previsto a febbraio, usciranno entro il 3 marzo. Si procederà poi a elezioni suppletive per i sette distretti dove non si è candidato nessuno, e fino a quel momento non è chiaro quale sarà il ruolo del parlamento.
Infatti, la nuova Costituzione indica che il presidente della repubblica detiene il potere legislativo “fino a quando l’assemblea dei rappresentanti del popolo non prende le sue funzioni in seguito all’elezione dei suoi membri”.
Sebbene Kais Saied abbia annunciato questa settimana un percorso per l’uscita dallo stato di emergenza, inoltre, è da ricordare che questo è ancora in vigore dal 25 luglio 2021, quando il capo dello stato ha sospeso il parlamento e deposto il primo ministro. Un passo al quale è seguito quello dello scioglimento definitivo dell’assemblea legislativa nel marzo scorso.
«Probabilmente aspetteremo giugno prima di vedere il nuovo parlamento, senza contare che è ancora in vigore la legge sullo stato d’eccezione. È tutto molto poco chiaro, per questo abbiamo deciso di boicottare» osserva Majdi Karbai, ex deputato della corrente democratica At-tayar, eletto in Italia. Il partito di Karbai ha scelto, come tutti i principali partiti tunisini, di non partecipare alle consultazioni.
Anche per le strade di Tunisi, il sentimento generale è di confusione e incertezza.
«I candidati delle prossime legislative? Sono degli sconosciuti». Da vent’anni il signor Abbas gestisce un forno nel mercato di Bab El-Falla, a pochi passi dalla medina di Tunisi. La scorsa settimana ha partecipato allo sciopero dei panificatori, per reclamare il versamento di quattordici mensilità di sovvenzioni che sono loro dovute dallo stato.
Abbas dice di avere più fiducia nel sindacato unico, l’Ugtt, che nella nuova classe politica, che ritiene troppo inesperta. Sulla fronte ha il callo tipico dei musulmani osservanti e in testa un copricapo tradizionale. Non è difficile immaginare che cosa abbia votato alle scorse legislative: «ho votato Ennahdha (il principale partito islamista, ndr)» spiega, in francese: «Ma adesso i partiti sono stati eliminati. Queste elezioni sono diverse, non c’è democrazia, e non ho ancora deciso che cosa votare».
A qualche centinaio di metri, nella hall dell’Istituto francese di Tunisi, Fethi aspetta il suo turno per consegnare il dossier che permetterà a sua figlia diciannovenne di studiare in Francia. L’uomo lavora nel settore farmaceutico, ed è preoccupato per la crisi che nelle ultime settimane ha impedito alla Farmacia centrale, l’agenzia statale preposta all’importazione di farmaci esteri, di acquistare più di 600 medicinali, compresi molti chemioterapici.
Alla richiesta di esprimersi sulle elezioni, risponde: «Da tanti anni non ho mai saltato un’elezione, perché è un diritto. Ma questa volta non penso che andrò a votare. Molti tunisini sono scontenti delle decisioni del presidente, sta facendo tutto da solo. In passato ho votato per diversi partiti, ho votato anche per Essebsi (il predecessore di Saied, primo presidente eletto democraticamente dopo la rivolta popolare del 2011, ndr), ho sempre votato con l’obiettivo di evitare che Ennahdha prendesse il potere… ma queste elezioni sono diverse».
Con un’inflazione quasi al 10% e una disoccupazione giovanile intorno al 40%, molti tunisini sembrano più preoccupati per il costo della vita che per la tenuta democratica del paese, che pure suscita inquietudine. In tanti decidono di emigrare all’estero, sia attraverso canali legali, come quelli offerti dalle opportunità di studio in Francia, sia scegliendo i pericolosi viaggi irregolari diretti in Italia, che quest’anno sono stati più numerosi che nel 2011, ai tempi della cosiddetta “emergenza Nordafrica”.
In fila, insieme a Fethi, c’è anche Latifa, casalinga, che rappresenta bene una fascia di popolazione ancora favorevole a Kais Saied. Interrogata rispetto alle elezioni, risponde subito, in arabo, elogiando il presidente Saied: «Le elezioni sono una buona cosa. Il nostro presidente è bravo. E se dio vuole il nostro futuro sarà migliore. Certo che andrò a votare, voterò per Kais Saied, e se non c’è Kais Saied non ci andrò».
Quando però le viene chiesto di precisare la sua posizione sulle legislative in cui, appunto, Saied non è candidato, lascia la parola alla sua amica Hamida, direttrice di un asilo nido: «In ogni caso andremo a fare il nostro dovere, abbiamo fiducia nel nostro presidente e in questa generazione politica».
La situazione è difficile da decifrare anche per Larbi Chouikha, professore universitario e autore di Storia della Tunisia dopo l’indipendenza, (Histoire de la Tunisie depuis l’indépendance, La Découverte, Paris, 2015): «Non riesco a qualificare la situazione attuale. Non so se la possiamo qualificare come dittatura, come regressione» ha detto a Nigrizia a margine di un evento sulla libertà di espressione: «quello che è sicuro, è che c’è tanta confusione. Personalmente, non andrò a votare per individui che non conosco nemmeno».