Le comunità locali salvano il mondo, alla COP28 siano la priorità
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L'appello di Adessou Kossivi, attivista togolese che fa parte di una rete globale di organizzazioni della società civile
Le comunità locali salvano il mondo, alla COP28 siano la priorità
Alla conferenza è stato raggiunto un accordo sull'attuazione del fondo per il 'Loss and Damage'. Già promessi oltre 400 milioni di dollari. «I fondi vadano direttamente a chi sta in prima linea contro i disastri. E via le mani delle banche da questi strumenti»
01 Dicembre 2023
Articolo di Brando Ricci
Tempo di lettura 5 minuti
Alto Katanga, Repubblica democratica del Congo

«Dal Togo al Niger fino al Burkina Faso, le comunità locali delle regioni più colpite dalla crisi climatica ci hanno dimostrato di saper organizzare e pianificare la risposta agli eventi estremi che li colpiscono, pur avendo poche risorse a disposizione. Ecco perché è fondamentale coinvolgerli in tutto il processo di gestione dei disastri provocati dal cambiamento climatico, fornendogli i fondi e il sostegno che gli serve: sono in prima linea e stanno facendo molto per salvare tutto il pianeta».

È con questa consapevolezza che l’attivista togolese Adessou Kossivi si è recato a Dubai per prendere parte alla Cop28, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2023 che è cominciata ieri e che si concluderà il 12 dicembre.

L’attivista, che vive in Senegal, è il rappresentante per l’Africa di una rete di oltre 1.880 organizzazioni delle società civile provenienti da 130 paesi, la Global Network of Civil Society Organisations for Disaster Reduction (GNDR), ovvero la rete globale delle organizzazioni della società civile per la riduzione dei disastri. Lo scopo principale di questa realtà è sostenere le comunità e le organizzazioni sociali delle aree del pianeta più vulnerabili ai disastri ambientali nel far fronte a questi fenomeni.

Come il fenomeno colpisce l’Africa 

Negli ultimi 20 anni molti eventi estremi, come le inondazioni e la siccità, sono aumentati di quasi il doppio rispetto alle due decadi precedenti a causa dei cambiamenti, come evidenziato in un report dell’Onu. L’Africa è fra le regioni più colpite nonostante produca meno del 4% del totale delle emissioni di gas climalteranti.

Secondo un documento pubblicato a settembre dall’Organizzazione metereologica mondiale (WMO), l’Unione africana e altre agenzie dell’Onu, solo nel 2022 nel continente la vita di 110 milioni di persone è stata messi in pericolo da eventi climatici estremi, per un danno economico stimabile in 8,5 miiliardi di dollari.

Adessou Kossivi

«Al cuore del nostro lavoro ci sono le persone che vengono colpite per prime e più duramente da questi fenomeni», dice Kossivi a Nigrizia. «Queste comunità – denuncia l’attivista – sono sistematicamente assenti dalle conferenze internazionali in cui si parla di crisi climatica». È questo il punto di partenza dell’analisi del dirigentetogolese, esperto di norme internazionali sull’ambiente.

«Noi pensiamo che per i grandi della terra sia arrivato il momento di ascoltare queste persone e di integrarle nei processi di pianificazione e allocazione delle risorse». Rispetto a questo Kossivi afferma che «sarebbe importante destinare direttamente alle comunità locali e alle società civile dei paesi più colpiti almeno il 3% del totale dei finanziamenti per il clima. Ma anche modificare la modalità di gestione di questo flusso di denaro».

Stando a dati Fao del 2019, gli agricoltori, i popoli originari e le comunità rurali dei paesi del sud globale hanno ricevuto poco meno del 2% del totale degli aiuti per il clima. «Il punto – insiste l’attivista – non è solo incrementare dell’1% questa somma, ma anche affidare il denaro direttamente alle comunità, che a oggi sono solo i riceventi ultimi di una lunga catena gestita tutta dal sistema internazionale degli aiuti».

Le buone pratiche delle comunità locali 

Sostenere le comunità locali significa mettere a frutto un potenziale dirompente. «Negli anni scorsi abbiamo effettuato una ricerca su scala globale che ha coinvolto 118mila persone di 750 comunità in 50 paesi», di cui oltre 20 in Africa, premette l’attivista. Come spiega il dirigente di Gndr, dalla ricerca è emerso che «le realtà che hanno partecipato al progetto sono perfettamente consapevoli di cosa gli serve e di come pianificare i loro interventi per ridurre i rischi dei disastri ambientali. Dal Togo al Mali fino al Madagascar e il Niger abbiamo potuto osservare delle pratiche efficaci e sostenibili».

Il supporto alle popolazioni più colpite dalla crisi climatica passa anche dai meccanismi globali più ampi, come il fondo per il Loss and damage già al centro della scena alla COP28. Lo strumento in questione è stato annunciato alla COP27 e mira a convogliare i finanziamenti utili a far fronte alle perdite e ai danni che la crisi climatica sta già causando. Il fondo è destinato ai paesi a basso reddito più vulnerabili ai cambiamenti climatici e verrà finanziato dalle nazioni più ricche.

Ieri i partecipanti alla COP hanno raggiunto un accordo per l’attuazione del Fondo. Diversi paesi si sono impegnati sempre a ieri a fornire a questa piattaforma oltre 400 milioni di dollari, su tutti gli Emirati arabi uniti padroni di casa, la Germania e l’Italia, con 100 milioni a testa. Non mancano comunque i nodi critici: la partecipazione al fondo è su base volontaria e non è ancora chiaro quale sia il criterio di selezione dei paesi donatori e di quelli riceventi.

Il Santiago Network 

Un altro strumento di cui si discuterà alla COP28 è il Santiago Network. L’iniziativa punta a catalizzare l’assistenza tecnica di organizzazioni, organismi, reti ed esperti pertinenti per poter implementare a livello regionale e locale i progetti relativi al Loss and damage. «Si tratta di uno strumento fondamentale – scandisce l’attivista togolese – è dirimente capire quali sono le necessità sul campo e passare ai fatti, non c’è più tempo».

Kossivi affronta un’altra questione importante: «A questa COP verrà deciso quale ente dovrà ospitare questo strumento. Si sono proposte due istituzioni dell’Onu congiuntamente e la Banca per lo sviluppo dei Caraibi: noi vogliamo che la scelta ricada sull’Onu, che è un organismo guidato dagli stati e il cui funzionamento è molto più trasparente di quello di una anca. Inoltre – conclude – già sappiamo che sarà la Banca Mondiale o ospitare per i primi quattro anni il Fondo per il Loss and damage, non vogliamo lasciare nelle mani di questi istituti tutto ciò che riguarda un tema così importante».

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