A fine ottobre (il 30 e il 31) si terrà a Roma il G20, il summit dei 20 paesi più industrializzati del pianeta, a presidenza italiana, con la partecipazione dei ministri dell’economia. A precedere quel vertice, oggi a Napoli inizia il summit ambientale del G20, interamente dedicato al dramma di Madre Terra che grida la sua sofferenza. Un appuntamento che può essere determinate in vista della Cop 26, l’attesissima conferenza Onu sul clima che si terrà a novembre a Glasgow.
Dopo l’alluvione che ha messo in ginocchio l’efficientissima Germania e mezza Europa centrale, e quella che ha devastato la metropoli cinese di Zhengzhou, questo vertice dovrà prendere atto dell’accelerazione e della dimensione globale dei cambiamenti climatici, in atto nella nostra Casa comune, alimentati dagli appetiti egoisti e smisurati dei più ricchi del mondo.
Da questo G20, ci si aspetta quindi una vera presa di coscienza dei rischi che sta correndo Madre Terra, e noi con lei, e decisioni coraggiose in grado di ridurre le conseguenze e l’esito di questi cambiamenti, il cui prezzo più alto rischiano di pagarlo sempre gli stessi: i più deboli, gli ultimi del mondo.
Proprio pensando a questi, alcune istituzioni locali e forze vive della società civile italiana e internazionale hanno organizzato per quest’anno, in diverse località e tappe, un summit dal titolo “The Last Twenty” (Gli ultimi venti), per ricordare ai G20 che non solo esistono ma che è proprio a partire dallo sfruttamento delle loro terre e risorse che i grandi del mondo si assicurano il raggiungimento e il mantenimento del loro benessere.
Non si tratta di un contro-vertice: i Last Twenty vogliono riportare i G20 – che rappresentano quasi il 90% del Pil mondiale e contano il 65% della popolazione – alle loro responsabilità, creare una coscienza globale sulle sorti del pianeta e essere coinvolti in un processo lungo e delicato di trasformazione di stili di vita e di governo, con l’obiettivo di rendere la terra abitabile e giusta per tutti. I paesi interessati sono Malawi, Etiopia, Guinea Conakry, Liberia, Yemen, Guinea Bissau, Mozambico, Sierra Leone, Burkina Faso, Eritrea, Mali, Burundi, Sudan, Ciad, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Repubblica democratica del Congo, Niger, Libano e Afghanistan.
Il primo appuntamento di “The Last Twenty” comincia oggi a Reggio Calabria e si protrarrà fino a domenica 25 luglio. Quattro giorni per analizzare lo stato di salute della terra a partire dalla prospettiva e dallo sguardo degli ultimi, per poi discutere di conflitti, armi, cambiamenti climatici, flussi migratori e politiche di accoglienza, corridoi umanitari e cooperazione decentrata, con istituzioni, organizzazioni della società civile e rappresentanti delle diaspore.
Siamo sempre più interconnessi ed è sempre più urgente pensare a livello globale e poi impegnarsi a partire dalla realtà locale. Gli incontri in plenaria, le mostre, gli spettacoli, i prodotti dell’artigianato dei venti paesi si sono dati appuntamento nel Parco Tecnologico Ludico Ambientale di Reggio Calabria, promotore dell’iniziativa assieme, tra gli altri, a: Federazione delle diaspore africane in Italia, Fondazione Terres des Hommes Italia, Centro Astalli, Itria, Mediterranean Hope, Re.Co.Sol, Rete azione TerraE, Fondazione Casa della Carità (Milano).
La Repubblica democratica del Congo sarà rappresentata a questo summit da una nostra delegazione di attivisti, residenti in Italia, che propone una profonda riflessione sui 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Ci siamo chiesti quale sia la situazione nella Rd Congo a 9 anni dalla scadenza di questo traguardo e quanto resti al raggiungimento di questi obiettivi.
Ne sono scaturiti una classifica in ordine di priorità ed un documento con proposte al governo congolese e alla comunità internazionale che gli autori sperano arrivi sul tavolo del G20 e che è stato presentato due giorni fa sul canale youtube di Nigrizia.
Per avvicinare la cittadinanza alla situazione congolese, proponiamo anche una mostra fotografica dal titolo “Le vittime della nostra tecnologia”, di Stefano Stranges, che documenta e denuncia l’impiego e sfruttamento, all’est della Rd Congo, di minori nelle miniere di coltan, minerale indispensabile alla realizzazione dei nostri smartphone.
Drammi denunciati con grande coraggio da un protagonista di primo piano della vita politica ed ecclesiale congolese e internazionale degli ultimi decenni, un vero “baobab” africano che ci ha lasciati appena dieci giorni fa e che ricordiamo in questi giorni di sguardi e prospettive dal basso per lasciarci contaminare dalla sua profezia: il cardinale Laurent Monsengwo. Possa la terra dei nostri antenati essere luce per lui e per noi in questi giorni e nel lungo e doloroso cammino verso la libertà e la rigenerazione dell’Africa.