In Lesotho media e opposizioni denunciano un colpo di stato de facto dopo che i vertici di forze di sicurezza e intelligence hanno avvertito che non permetteranno “mai” che il parlamento sfiduci il governo del primo ministro Sam Matekane.
Il Lesotho è una monarchia parlamentare da due milioni di abitanti il cui territorio, per lo più montuoso, è tutto compreso entro i confini del Sudafrica.
Lunedì 16 ottobre il capo della polizia Holomo Molibeli, il comandante delle forze di difesa Mojalefa Letsoela e il massimo dirigente dell’intelligence nazionale Pheello Ralenkoane hanno letto in conferenza stampa un comunicato in cui affermavano: «È giunto alla nostra attenzione che ci sono persone che vogliono destabilizzare la nazione per il proprio tornaconto personale. Ciò può alimentare rivolte che possono colpire vite umane e proprietà. Dichiariamo che il Lesotho non tornerà mai più a situazioni del genere».
I vertici della sicurezza del paese comunicavano quindi: “Vi avvisiamo che tali azioni per un cambio di governo non avverranno mai».
Il riferimento, come spiega il quotidiano locale Lesotho Times, è a una mozione di sfiducia contro il governo presentata la scorsa settimana dalle opposizioni e su cui i deputati del Lesotho si sarebbero dovuti pronunciare lunedì. La proposta prevedeva la nomina di un nuovo esecutivo a guida Mathibeli Mokhothu, leader della principale formazione avversa al governo, il Democratic Congress (DC).
Sempre lunedì però lo speaker del parlamento Tlohang Sekhamane ha annunciato il rinvio del voto sulla base di un ricorso presentato alla Corte Costituzionale da un deputato del partito di governo, il Revolution for Prosperity (RFP). I parlamentari dovranno attendere il pronunciamento dell’organo di giustizia prima di poter procedere.
Secondo il Times comunque, la manovra dei militari è stata interpretata dalle opposizioni come un “golpe de facto” contro la formazione di un nuovo esecutivo.
Il voto sarebbe stato probabilmente una mera formalità. Prima dell’inizio della seduta di lunedì 64 deputati, esponenti delle opposizioni ma anche fuoriusciti dal RFP, si erano riuniti in conferenza stampa per dimostrare di avere i numeri per far approvare il provvedimento. L’assemblea del Lesotho è composta infatti da 120 scranni.
Le opposizioni hanno chiesto la rimozione dell’incarico di Matekane accusandolo, fra le altre cose, di corruzione e nepotismo, anche in relazione alla controversa organizzazione di una fiera su acqua e idrogeno che si è svolta nel paese questo mese. Il premier è in carica dalle elezioni dell’anno scorso ed è un uomo d’affari ritenuto una delle persone più ricche del paese.
Le riforme mancate
Il ricorso che ha bloccato il procedimento per la sfiducia faceva anche riferimento alla necessità di portar a termine una serie di riforme costituzionali che il Lesotho sta cercando di promuovere da anni. Fra il 2018 e il 2019 infatti un dialogo nazionale organizzato su impulso della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (SADC) dopo anni di instabilità politica, ha emanato una serie di linee guida per mettere a terra le riforme, che finora restano sulla carta.
Nella loro conferenza stampa anche i vertici delle forze di sicurezza hanno affermato di agire nell’ottica di «proteggere l’impegno a modificare la Costituzione» preso con la popolazione.
Il Lesotho è guidato da re Letsie III dal 1996. Il monarca non ha né potere esecutivo né legislativo. Un abitante su cinque è disoccupato secondo la Banca Mondiale. Circa 227mila migranti originari del paese vivono nel vicino Sudafrica.