La libertà di scegliere il cognome - Nigrizia
Ghana Politica e Società
Sempre più diffuso il dibattito sulla possibilità per le donne subsahariane di conservare il nome da nubili
La libertà di scegliere il cognome
Giudice dell'Alta Corte ghanese: l’imposizione del cognome del marito un’abitudine arcairca introdotta da leggi coloniali
12 Luglio 2024
Articolo di Antonella Sinopoli
Tempo di lettura 5 minuti

Quanto, nei paesi subsahariani, l’uso di cambiare il cognome e di assumere quello del marito al momento del matrimonio è dettato da legislazioni coloniali? L’argomento è complesso e richiede uno spazio molto più ampio. Eppure non sono pochi i casi di riflessione sul tema e i tentativi di modificare questa norma.

La più recente arriva dal Ghana e non da una donna, ma da un giudice dell’Alta Corte, Justice Osei Tutu. «È una pratica – ha detto nel corso di un’intervista – nata come usanza inglese». «Una pratica intesa a sminuire le donne, ma il suo significato è diminuito nel tempo, quindi dobbiamo riconsiderare l’uso dell’adozione del nome del marito». Si tratta, secondo il giudice, di una abitudine arcaica, che rientra in pratiche “tradizionali” che contrastano con l’identità personale e l’autonomia delle donne.

Un passo in avanti a favore di queste ultime sarebbe però occuparsi di più della violenza domestica, degli abusi sessuali, (almeno il 35% delle donne subsahariane hanno subito abusi fisici o sessuali da parte del partner, e sono dati sottostimati visto che nella grande maggioranza dei casi non vengono denunciati), dei livelli di povertà (il 62% delle donne in stato di povertà estrema vive nell’Africa subsahariana), della scarsa rappresentanza in politica (nell’Africa subsahariana la rappresentanza parlamentare femminile è del 27,3%). E si potrebbe continuare.

In ogni caso quello del cognome del marito potrebbe essere un espediente per fare emergere le questioni di genere e quanta strada ci sia ancora da fare (non solo nel continente africano) per abbattere quei pregiudizi nei confronti delle donne che si riassumono poi nell’esclusione o marginalità nei vari aspetti della società.

In ogni caso, come ricorda anche SLA (She Leads Africa) l’usanza di prendere il nome del marito dopo il matrimonio sta lentamente scomparendo. O almeno viene messa in discussione. Così come donne di altre parti del mondo, anche quelle africane scelgono di mantenere il loro nome da nubile dopo essersi sposate.

Usanza, quella di prendere il cognome del marito, che non è tipicamente africana, ma introdotta in Europa e poi trasferita nei paesi colonizzati. Assumere il cognome del marito è spesso stata considerata come un’immagine di sottomissione e con riferimenti alla proprietà. Un essere umano che diviene “bene” di qualcun altro, il cui cognome serve a stabilirne e garantirne accettazione da una parte e riconoscimento dal punto di vista sociale dall’altro.

Non a caso quest’uso si diffonde con lo svilupparsi della società patriarcale nel Medioevo. Nasce il concetto di coverture, lo status giuridico di una donna sposata, considerata essere sotto la protezione e l’autorità del marito. Ora, la domanda è: conservare il proprio cognome (che poi è il cognome del padre…) è un modo sufficiente per affermare la propria identità e individualità?

È così per molte donne africane che hanno scelto di rimanere “visibili” per quello che sono, per quello che fanno e non perché lo dice un cognome acquisito. Alla domanda perché non usasse il nome di suo marito, la giornalista nigeriana Amma Ogan così ha risposto: «Perché è il suo nome, non il mio», aggiungendo: «Chiedi a un uomo nigeriano di cambiare nome e lo considererà un insulto di prim’ordine. Ciò significa che le donne sono considerate preda, madri, sorelle, figlie».

Del resto non sono poche le donne africane che continuano ad essere conosciute unicamente con il cognome da nubile, tanto che di alcune neanche si pensa siano sposate. Questo avviene soprattutto quando si tratta di donne note e celebri, a prescindere dal loro stato civile.

Come le scrittrici Chimamanda Ngozi Adichie e Ama Ata Aidoo (due generazioni lontane) o il premio Nobel per la pace, la liberiana Leymah Gbowe. E molte altre che si definiscono (o vengono definite) femministe.

Fatto è che non tutte sanno che nella maggior parte dei paesi non è un dovere prendere il nome del coniuge e perlopiù ci si attiene a un costume diffuso, anche perché – come per esempio mostra una sorta di sondaggio proposto su Facebook da Deutsche Welle – le opinioni sono davvero diverse, non sempre dettate dalla conoscenza reale della norma e spesso attinenti al tipo di scolarizzazione o consapevolezza dei singoli individui.

Il sito Zikoko, giovane e giovanile, il cui scopo è appunto amplificare le voci e la cultura della gioventù africana, qualche anno fa ha raccolto l’esperienza  di otto donne africane che spiegano perché hanno deciso di mantenere il loro cognome e se è come è stato difficile sostenere le opinioni, a volte divergenti, ma a volte totalmente concordi, di parenti e amici.

E sì, la società africana è davvero molto varia. Ad esempio, la religione musulmana nel continente subsahariano è diffusa tra circa il 30.2% della popolazione e le leggi islamiche non prevedono il passaggio di cognome dal marito alla moglie al momento del matrimonio, non esistendo tra loro legame di sangue.

Insomma, il discorso rimane aperto, perché sicuramente non si tratta semplicemente di cambiare o implementare leggi, né di criticare il colonialismo e i suoi lasciti (anche perché il patriarcato “africano” è molto ben radicato) ma di dare spazio al senso di autonomia e alle scelte di ogni singola donna africana.

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