È il 9 febbraio 2022 il giorno in cui il giornalista radiofonico Evariste Djaï-Loramadji viene ucciso con colpi di arma da fuoco in Ciad, nel villaggio di Sandana, circa 600 chilometri a sud-est della capitale N’Djamena. Djaï-Loramadji lavorava per Radio Lotiko. È morto perché “colpevole” di aver dato notizia di un attacco sferrato da un gruppo di pastori locali contro i contadini del suo villaggio. È il primo giornalista africano ammazzato dall’inizio di quest’anno.
Il suo omicidio è solo uno dei tanti censiti nel World Press Freedom Index 2022, diffuso il 3 maggio da Reporters sans frontières. L’Indice conferma l’Eritrea quale paese del continente africano in cui la libertà di stampa è praticamente inesistente, soffocata dal regime del presidente Isaias Afwerki, al potere ininterrottamente dal 1993. Un primato inquietante, che vale alla dittatura del Corno d’Africa il 179esimo posto nella graduatoria globale, davanti alla sola Corea del Nord.
La situazione in Africa subsahariana
In Africa subsahariana Reporters sans frontières segnala situazioni agli antipodi. Al silenzio assordante dei media, oltre che in Eritrea anche nel piccolo stato militarizzato di Gibuti (164°), fa infatti da contraltare un particolare fermento degli organi di informazione soprattutto in Sudafrica (35°) e Senegal (73°). I casi di censura dei media, specie di giornali, siti e blog online, restano però una costante in un numero altissimo di paesi della macro regione, così come gli arresti e le intimidazioni nei confronti dei giornalisti che non intendono piegarsi ai diktat dei governi.
In tutta l’Africa sono molti i governi che al pugno di ferro alternano il varo di leggi che stanno assottigliando sempre di più le possibilità di fare informazione liberamente. E, dove il giornalismo indipendente e di qualità è costretto ad arretrare, avanzano sistematicamente la propaganda di regime e la disinformazione.
I pochi gruppi editoriali indipendenti sul mercato, fanno così fatica a tenersi a galla. Con l’effetto che, a produrre vera informazione sul campo, restano solo gli inviati delle agenzie e delle testate giornalistiche internazionali e qualche coraggiosa coalizione di giornalisti investigativi, costretti a esercitare la professione spesso a rischio della propria vita.
Il loro impegno, seppur lentamente, contribuisce a tenere viva la luce dell’informazione nel continente. È il caso, in particolare, di Angola (99°), Zimbabwe (137°) ed Etiopia (114°), dove si registra un allargamento dell’offerta informativa, in controtendenza rispetto agli anni passati.
In vetta alla classifica la Namibia, che con il suo 18° posto precede di un punto il Canada.
Giornalisti nel mirino nel Sahel
Altamente critica resta la situazione anche nei paesi del Sahel. Nel 2021, due giornalisti spagnoli sono stati uccisi in Burkina Faso (41°), mentre un giornalista francese, Olivier Dubois, è stato rapito da un gruppo armato in Mali (111°). Altri giornalisti sono stati espulsi, oltre che da Mali e Burkina Faso, anche dal Benin (121°). In Mali, a distanza di anni, resta irrisolto il caso della scomparsa, nel 2016, del giornalista maliano Birama Touré, rapito dai servizi segreti maliani e molto probabilmente ucciso durante la prigionia.
Repressione sistematica in Nordafrica
Per ciò che concerne il Nordafrica, il World Press Freedom Index 2022 colloca Algeria e Marocco rispettivamente al 134° e al 135° posto. Nel 2021 in Algeria la situazione è gravemente peggiorata, con molti giornalisti che sono stati incarcerati, intimiditi o impossibilitati a lasciare il paese. Le poche pubblicazioni cartacee e i siti di notizie che hanno provato a criticare il governo, sono stati isolati e messi in difficoltà economica.
Situazione analoga si registra in Marocco, dove i procedimenti penali avviati negli ultimi anni a carico dei giornalisti Taoufik Bouachrine, Omar Radi e Souleiman Raissouni hanno avuto come effetto quello di imprimere un’ulteriore stretta attorno all’intero sistema mediatico nazionale.
Peggio ancora va in Libia (143°) e Sudan (151°), paese quest’ultimo in cui la longa manus dell’esercito, dietro i capovolgimenti politici del dopo El-Bashir, ha immobilizzato da tempo tv e radio. In Mauritania (97°), nonostante il governo abbia aperto al dialogo con le opposizioni, i giornalisti lavorano in condizioni estremamente precarie, con la conseguenza che molti di loro finiscono con l’evitare lo scontro con i centri di potere.
In Tunisia (94°), la cui nuova Costituzione, adottata nel 2014, mostra tra le sue principali conquiste la tutela della libertà di stampa e informazione, la situazione per i giornalisti è tornata a farsi più complicata dopo il golpe bianco con cui, il 25 luglio 2021, il presidente Kais Saied ha accentrato tutti i poteri nelle sue mani. Segno che, anche qui, i venti delle primavere arabe si sono ormai affievoliti.