Libia: proseguono i sequestri di armi cinesi dirette ad Haftar - Nigrizia
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L'ultimo è stato effettuato dalle autorità italiane nel porto di Gioia Tauro
Libia: proseguono i sequestri di armi cinesi dirette ad Haftar
Il flusso di armamenti è monitorato da Washington, che vuole frenare l'influenza di Mosca e Pechino
06 Luglio 2024
Articolo di Giuseppe Acconcia
Tempo di lettura 5 minuti
Un carro armato nei dintorni di Misurata. Foto dal profilo Flickr di joepyrek

Non si fermano le forniture di armi che dalla Cina sono dirette verso la Cirenaica in Libia. L’ultimo sequestro di droni cinesi diretti nel paese nordafricano è avvenuto nei giorni scorsi ed è stato effettuato dalle autorità italiane. Secondo la polizia di frontiera, i droni erano registrati come equipaggiamento per turbine a vento. Pezzi non ancora assemblati di droni sono stati ritrovati in sei diversi container nel porto di Gioia Tauro. Il sequestro è avvenuto nell’ambito degli impegni internazionali per il rispetto dell’embargo sugli armamenti diretti in Libia, come prescritto dalle Nazioni Unite.

Non è il primo sequestro

Non è la prima volta che armi cinesi, dirette verso la Cirenaica dove il generale Khalifa Haftar tenta di controllare il parlamento di Tobruk, vengono sequestrate dalle autorità italiane. Era già accaduto lo scorso 18 giugno, dopo una segnalazione avanzata dall’intelligence Usa. In quel caso il materiale sequestrato, del valore di svariati milioni di dollari, proveniva dal porto cinese di Yantian ed era diretto a Bengasi. Il sequestro della nave Msc Arina, anche in quel caso, è avvenuto nel porto di Gioia Tauro.

Dietro al sequestro ci sarebbe quindi la forte volontà statunitense di impedire un rafforzamento del controllo militare cinese e russo sulla Cirenaica. Secondo l’intelligence di Washington, l’obiettivo di Mosca e Pechino sarebbe il controllo esclusivo di un porto militare in Cirenaica per rafforzare la presenza cinese e russa in Africa.

Solo alcune settimane fa, il dipartimento del Tesoro statunitense aveva sanzionato la società russa Goznak, con l’accusa di aver stampato dinari falsi per il valore di oltre un miliardo di dollari per finanziare Haftar e le milizie di Mosca in Libia. «Gli Usa sono preoccupati per le segnalazioni riguardo alle missioni navali russe che consegnano attrezzature militari in Libia», aveva denunciato il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Matthew Miller.

Cina e Russia in Libia

Sin dagli accordi siglati nel 2019, Turchia e Russia si spartiscono la Libia in zone di influenza. La Cina, al seguito di Vladimir Putin, ha sempre appoggiato il generale Khalifa Haftar e le istituzioni di Tobruk in Cirenaica, insieme ad Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, alle milizie 106, 201 e 604, e il premier Osama Hammad che ha faticato non poco a prendere le redini del potere.

Un ruolo centrale nell’organizzazione militare delle milizie attive in Cirenaica lo hanno avuto i contractors del gruppo Wagner. Il gruppo è ora in piena riorganizzazione dopo la morte in circostanze sospette della sua guida, Yevgeny Prigozhin, nell’agosto del 2023. Prigozhin aveva osato sfidare Putin avviando una marcia verso Mosca con i suoi miliziani, essenziali nelle guerre per procura russe in Africa, a partire dal Sudan. Come fiore all’occhiello di questa coalizione internazionale pro-Haftar hanno sempre figurato i droni Wing Loong cinesi, proprio tra gli armamenti sequestrati a Gioia Tauro.

D’altra parte, non meno armato fino ai denti è il governo di unità nazionale di Abdel Hamid Dbeibah, sostenuto dalla coalizione internazionale, guidata da paesi europei, Stati Uniti, Turchia e Qatar, con i suoi droni Bayraktar, mercenari siriani e turcomanni, e l’appoggio delle milizie di Misurata.

Le porte aperte ad Haftar

A mantenere un rapporto privilegiato con Haftar, il nemico-amico di Muammar Gheddafi, ci ha sempre pensato la Francia, con François Hollande prima e Emmanuel Macron poi. Francesi e inglesi si sono approfittati non poco del caos libico dopo gli attacchi della Nato del 2011 che hanno fatto piombare il paese nella guerra civile.

Ma lo stesso ha fatto anche l’Italia. Risale appena a poche settimane fa l’ultima visita in Libia della premier, Giorgia Meloni, che dall’inizio dell’anno si è più volte recata anche in Tunisia ed Egitto. Anche in quel caso Meloni, oltre ad incontrare le autorità di Tripoli aveva fatto visita ad Haftar. In realtà il militare, e i suoi figli, hanno dimostrato di non avere il controllo completo neppure sulle istituzioni di Tobruk e di sicuro di non avere la capacità militare di arrivare fino a Tripoli.

Gli effetti sul business delle migrazioni

Infine, non si ferma la gara tra miliziani e contrabbandieri libici per il business delle migrazioni che ha trasformato i centri di detenzione del paese in lager e il Mediterraneo in un cimitero per migranti

Secondo le Nazioni Unite, le guardie di confine tunisine hanno consegnato centinaia di migranti alle autorità libiche. I migranti, trasferiti nei centri di detenzione al-Assa e Nalout, hanno subìto torture, estorsioni e sono stati obbligati a lavori forzati. Dopo alcune settimane, i migranti sono stati trasportati al centro di detenzione di Bir al-Ghanam, vicino Tripoli.

Lo scorso lunedì il valico tra Tunisia e Libia di Ras Jedir è stato completamente riaperto dopo tre mesi di chiusura, dovuti ai continui scontri che avevano avuto luogo al confine tra i due paesi. Già a metà giugno il confine era stato riaperto parzialmente per il passaggio di aiuti umanitari e medici, con il permesso dei ministri dell’Interno tunisino e algerino.

I sequestri di armi cinesi a Gioia Tauro dimostrano la volontà degli Stati Uniti di tenere sotto controllo gli interessi di Mosca e Pechino in Libia. Se Putin punta molto sulla distrazione generale dovuta ai conflitti in Ucraina e a Gaza per accrescere la sua presenza in Cirenaica, Washington ha ogni interesse a fermare forniture di armi che alimentino la guerra per procura nel paese, ricco di petrolio, già dilaniato dal caos e dalla presenza di milizie armate.

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