E ora chi vuole trattare con la Libia, a quale autorità si dovrà rivolgere?
Perché da ieri è concreto il rischio che si riproponga nel paese nordafricano lo scenario che ha caratterizzato gli anni tra il 2014 e il 2020, nel bel mezzo di una guerra civile: due governi paralleli e rivali pronti a uno scontro.
Il 1° marzo, infatti, i deputati del parlamento di Tobruk (Libia orientale) hanno votato l’esecutivo dell’ex ministro dell’interno Fathi Bashagha, nuovo primo ministro ad interim del paese. Una nomina che fa parte di una road map che comporta anche emendamenti costituzionali e che fissa la data per le elezioni entro 14 mesi.
A Tripoli, tuttavia, il primo ministro ancora sotto l’ala dell’Onu, Abdul Hamid Mohammed Dbeibah, si rifiuta di cedere il potere se non a un governo eletto da un nuovo parlamento.
Il premier imprenditore ha respinto il voto di Tobruk, giudicandolo truccato. Le forze che lo sostengono si sono nuovamente mobilitate a Tripoli, chiedendo lo scioglimento della Camera dei rappresentanti. Dbeibah, inoltre, ha avvisato che «considererà qualsiasi tentativo di prendere d’assalto il suo quartier generale come un attacco al governo», aumentando quindi le possibilità di un conflitto.
Un riferimento alle dichiarazioni di Bashaga che ha affermato che assumerà presto le proprie funzioni nella capitale Tripoli, precisando tuttavia «in modo pacifico e sicuro».
Il mandato scaduto di Dbeibah
Dbeibah era stato nominato, attraverso un processo guidato dall’Onu, nel febbraio dello scorso anno. L’obiettivo era che guidasse il paese fino alle elezioni. La decisione di sostituirlo deriva dal fallimento della Libia di tenere le “presidenziali” il 24 dicembre scorso. Tra le ragioni del rinvio, le controversie sulla lista finale dei candidati e le minacce alla sicurezza.
Bashagha e Dbeibah si erano entrambi registrati per competere alle “presidenziali”, così come il figlio di Muammar Gheddafi, Seif Al Islam – ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra – e il feldmaresciallo Khalifa Haftar.
Il rinvio del voto ha così segnato anche il termine del mandato del Governo di unità nazionale (Gun).
Almeno questa è la posizione assunta dal presidente del parlamento e gran regista dell’operazione Bashagha, Aguila Saleh. Il quale ieri ha dichiarato che 92 dei 101 deputati presenti a Tobruk avevano votato per il nuovo governo. Un numero leggermente superiore al quorum previsto (86 voti).
I presunti brogli
Una dichiarazione che ha scatenato la rabbia di alcuni esponenti di Tripoli e Misurata (città natale sia di Dbeibah sia di Bashagha). I parlamentari Ibrahim Karnfouda e Mohamed Lino, entrambi considerati vicini al premier uscente, hanno denunciato sui social presunti brogli nella votazione.
In particolare, Karnfouda ha negato di aver preso parte alla votazione (nonostante il suo voto sia stato conteggiato), mentre secondo Lino a Tobruk erano presenti appena 78 deputati.
L’ex presidente dell’Alto consiglio di stato in Libia, Abdurrahman Sewehli, influente leader politico di Misurata, ha parlato di «pantomima in parlamento» e di «oltraggiose frodi».
Il governo più numeroso
Il nuovo governo di Bashagha è il più numeroso nella storia della Libia e include tre vice primi ministri, uno per ciascuna delle tre province del paese, oltre a 29 ministri e sei ministri di stato.
Ci sono solo due donne nel gabinetto, che supervisionano il ministero della cultura e delle arti e il ministero per gli affari femminili.
Bashagha ha nominato Ahmeid Houma, il secondo vice speaker del parlamento, per guidare il ministero della difesa, e Brig Essam Abu Zreiba, che arriva dalla città occidentale di Zawiya, come ministro dell’interno. L’ex ambasciatore all’Unione europea, Hafez Qadour, è stato nominato ministro degli esteri.
Come previsto, i posti chiave sono andati a esponenti della bellicosa etnia dei buzeribas di Zawiya (gli “interni”) e agli amici del feldmaresciallo Haftar di Bengasi (la difesa).
Haftar di nuovo al centro del proscenio
Haftar che si può di nuovo considerare il vincitore di questo cortocircuito in cui è finito il paese. Dopo essere stato messo all’angolo dalla guerra civile con Tripoli grazie all’intervento della Turchia a sostegno del Governo di accordo nazionale di Fayez al-Sarraj, oggi torna al centro del proscenio grazie all’accordo con Saleh e Bashagha.
Il nuovo esecutivo ha comunque approfondito le divisioni tra le fazioni libiche e ha sollevato il timore che i combattimenti possano tornare dopo più di 18 mesi di relativa calma.
La posizione dell’Onu
Il portavoce delle Nazioni Unite Stephane Dujarric ha detto che l’organismo sta osservando da vicino gli sviluppi, dicendo che «il processo legislativo politico in corso» deve essere trasparente «e aderire alle regole e agli accordi stabiliti».
Ha anche sottolineato l’importanza di mantenere la «calma e la stabilità» raggiunta dall’accordo di cessate il fuoco dell’ottobre 2020.
Il mandato della missione delle Nazioni unite in Libia (Unsmil) scadrà tra due mesi.
Il governo del paese (qualunque esso sia) ha una serie urgente di questioni da dover affrontare: le elezioni presidenziali e parlamentari; il controllo delle molte milizie e dei gruppi armati stranieri presenti nel paese; gli investimenti economici; l’unificazione delle forze di sicurezza.