L’ennesima crisi libica si gioca, stavolta, attorno alla Banca centrale libica, che assieme alla Noc, l’Eni libica, sono i soli istituti “nazionali”, utilizzati come bancomat da entrambi i governi, dell’est e dell’ovest. Entrambi gli istituti hanno sede a Tripoli. Ma tutti e 2 sono accusati di tifare per Bengasi. O meglio, per la famiglia Haftar.
La banca centrale è caduta vittima delle tensioni politiche, tra due governi che si contendono il controllo della ricchezza petrolifera del paese. Secondo una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la banca centrale è l’unica depositaria riconosciuta a livello internazionale dei proventi del petrolio libico, un’entrata economica fondamentale per un paese diviso da anni.
Un accordo di riunificazione del 2021 era stato salutato come una pietra miliare per la travagliata nazione nordafricana. In realtà sono stati fatti pochi progressi sulla strada della riconciliazione di governi rivali e gruppi armati.
Sostituzione del governatore
L’ultimo bubbone è scoppiato dopo la decisione del Consiglio presidenziale (organo tripartito che svolge le funzioni di capo di stato e di comandante supremo delle Forze armate e che ha sede a Tripoli) di sostituire il governatore della Banca, Al Siddiq al Kabir, in carica dalla fine del 2011, e di ristrutturare il consiglio di amministrazione.
Al Kabir doveva essere sostituito da Muhammad Abdel Salam Shukri.
Decisone assunta il 18 agosto dopo che l’ente regolatore aveva annunciato la sospensione delle operazioni a causa del rapimento di uno dei suoi dipendenti più importanti, il direttore del dipartimento di tecnologia informatica della banca, Musab Emsalem.
Banca che aveva poi ripreso la sua attività la stessa sera del 18, dopo il rilascio di Emsalem.
Una decisione quella di Tripoli, “licenziare” al Kabir, assunta per «garantire la stabilità finanziaria ed economica».
Decisione mal digerita a est
Una scelta, tuttavia, mal digerita a est. Il Governo di stabilità nazionale (quello di Bengasi) ha proclamato, come ritorsione, lo stato di forza maggiore su tutti i giacimenti petroliferi sospendendo la produzione e le esportazioni di petrolio fino a nuovo avviso..
Il governo libico orientale ha dichiarato di aver «seguito con grande attenzione i ripetuti attacchi ai dirigenti, ai dipendenti e all’amministrazione della Banca centrale libica da parte di gruppi al di fuori della legge, incitati e assistiti dal Consiglio presidenziale che si spaccia per tale».
Il 27 agosto i prezzi globali del petrolio hanno raggiunto gli 81 dollari a barile, con un rialzo di oltre il 7%. Oltre il 90% dei giacimenti si trova nell’est e nel sud del paese, aree controllate dal clan del potente maresciallo Khalifa Haftar. La quota della Libia nella produzione Opec era di circa il 4% nel 2023; la maggior parte della sua produzione è destinata all’Europa. Anche se si tratta di una quantità relativamente piccola, questo petrolio non può essere facilmente sostituito, e per qusto ha un profondo impatto sui prezzi globali del petrolio.
Commenti internazionali
Una crisi che ha portato la Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) a chiedere una riunione di emergenza tra tutte le parti coinvolte per preservare la stabilità economica e finanziaria del paese, con il rischio di far «precipitare il paese in un collasso finanziario ed economico».
Lo scorso 13 agosto, la Camera dei rappresentanti libica, foro legislativo con sede nell’est, aveva dichiarato “scaduti” i mandati del premier del Governo di unità nazionale (Gun, con sede a Tripoli), Abdelhamid Dbeibah, e del presidente del Consiglio presidenziale, Mohamed Menfi.
Stato di forza maggiore
A fronte della conferma della destituzione di al Kabir, il 27 agosto, Aguila Saleh, presidente della Camera dei rappresentanti di Bengasi, ha ribadito lo stato di forza maggiore su tutti i giacimenti petroliferi, fino al ritorno del governatore al vertice della Banca centrale.
Da parte sua, il comandante in capo dell’Esercito nazionale libico (Enl), generale Khalifa Haftar, ha sottolineato l’importanza di proteggere la Banca centrale della Libia e la necessità di rispettare le autorità legittime e costituzionali interessate alle posizioni sovrane, inclusa la posizione del governatore.
Sospensione del presidente di Brega Oil
Ad alimentare ulteriormente nuove frizioni tra i due governi la decisione di Dbeibah di sospendere il capo della società di distribuzione di carburante statale, Brega Oil Marketing, Fouad Belrahim, molto vicino a Saddam Haftar. La motivazione? La grave carenza di carburante in Libia.
I governi rivali che controllano diverse parti della filiera petrolifera libica stanno lottando per ottenere il sopravvento.
Prima della sospensione del presidente Belrahim, Brega aveva attribuito la carenza di carburante ai ritardi negli arrivi delle petroliere nei porti nazionali.
La mano russa?
Dietro le quinte, la banca farebbe comunque parte di una più grande partita a scacchi geopolitica russa. Questo è ciò che emerge in un’analisi di Foreign policy che ha intervistato Jason Pack, fondatore di Libya-Analysis. A suo avviso il mantenimento del blocco petrolifero non cambierebbe l’esito del funzionamento della banca centrale, ma permetterebbe alla Russia, storica alleata della famiglia Haftar, di perseguire i propri interessi nazionali in Libia. A suo avviso si tratta di «una crisi interamente fabbricata per raggiungere obiettivi strutturali russi più ampi… È molto vantaggioso per i russi fare qualsiasi cosa per tenere lontano il petrolio dai mercati occidentali»