Mentre le ricerche sempre più disperate di possibili superstiti di una delle più grandi catastrofi ambientali che hanno colpito il Mediterraneo negli ultimi anni continuano, si moltiplicano le accuse per le responsabilità politiche di una strage che molto probabilmente si poteva evitare.
Le Nazioni Unite hanno assicurato che gran parte delle vittime poteva essere salvato se il sistema di allerta, emergenza ed evacuazione fosse stato attivato in tempo.
Non solo, l’Ufficio di coordinamento delle Nazioni Unite per gli aiuti umanitari (OCHA) ha potuto mettere in moto i suoi canali internazionali di risposta ai gravissimi danni causati dal ciclone Daniel, probabilmente solo quattro giorni dopo l’evento che ha colpito la costa libica tra il 10 e l’11 settembre scorso.
Qual è la causa di questi ritardi? Come hanno operato le autorità municipali rispetto ai governi di Tripoli e Tobruk? Le divisioni che dilaniano il paese hanno inciso sulla macchina dei soccorsi? Gli aiuti internazionali sono sufficienti per far fronte alla crisi?
La tragedia è iniziata quando la distruzione di due dighe ha aggravato le conseguenze dell’alluvione in corso con la rottura degli argini del Wadi Derna, il fiume che dalle Gebel el-Achdar (Montagne Verdi) arriva fino al mare.
E ormai il numero dei morti potrebbe raggiungere i 20mila, secondo i numeri annunciati dalla municipalità di Derna.
L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e altri organismi internazionali hanno chiesto alle autorità locali di non seppellire le vittime in fosse comuni ma di procedere alla raccolta del Dna per la successiva identificazione.
Non solo, Rick Brennan, direttore per le emergenze dell’OMS per il Mediterraneo orientale ha ammesso che le strutture mediche non sono sufficienti e non erano funzionanti già prima della tempesta.
«Una gran parte di queste strutture non ha risorse mediche e strumentazioni sufficienti», ha commentato Brennan, sostenendo che i ritardi sono stati aggravati dalle divisioni di potere presenti nel paese.
La reazione delle autorità della Cirenaica
Agila Saleh, guida del parlamento di Tobruk e zio del sindaco di Derna, Abdulmenam al-Ghaithi, ha commentato le notizie della devastazione di Derna parlando di «fatalità», «catastrofe naturale» e assicurando che non si poteva fare nulla per evitare che accadesse.Inizio modulo
Il centro metereologico libico aveva emesso un avviso di allerta meteo 72 ore prima dell’arrivo del ciclone ma non è chiaro se la notizia sia stata fatta circolare diffusamente.
Uno studio dell’Università Omar Al-Mukhtar in Libia aveva previsto che la mancanza di manutenzione delle dighe rendeva l’area di Derna a alto rischio di alluvioni.
Invece, sebbene sia le autorità sia i cittadini fossero consapevoli del rischio che stavano per correre, la risposta delle autorità non è stata sufficientemente tempestiva.
Anzi l’imposizione di un coprifuoco, sabato notte e in particolare nella città di Bengasi, e il mancato avvio dell’evacuazione dei residenti nelle aree vicine al fiume hanno aggravato gli effetti dell’alluvione.
Sulla stessa linea possono essere lette le dichiarazioni dell’Organizzazione metereologica internazionale, secondo la quale “gran parte delle perdite umane si poteva evitare” se fosse stata avviata un’evacuazione tempestiva, in seguito all’allerta meteo che Daniel aveva già innescato nei giorni precedenti in Turchia, Grecia e Bulgaria.
Alla fine, se la città di Bengasi è stata quasi completamente risparmiata dai danni dell’alluvione, lo stesso non si può dire di Derna e dei villaggi di montagna, come Shahat e Susa, i cui residenti vedevano l’acqua salire costringendoli a raggiungere i tetti delle loro case.
A quel punto le autorità libiche hanno dichiarato l’area colpita dall’alluvione zona disastrata ma era ormai troppo tardi.
Le divisioni tra i due governi hanno complicato i soccorsi
Nella reazione tardiva delle autorità locali hanno avuto di sicuro un peso le già gravi divisioni interne tra il governo di unità nazionale di Tripoli, riconosciuto dalla comunità internazionale e guidato da Abdel Hamid Dbeibah, e quello di Tobruk, appoggiato dal generale Khalifa Haftar.
Sebbene le autorità di Tripoli abbiano assicurato che unità di emergenza sarebbero state attivate per far fronte all’alluvione, queste non hanno poteri esecutivi nelle regioni orientali del paese, frammentate anche dal controllo sul territorio di una miriade di milizie armate, conseguenza del vuoto di potere determinato dai disastrosi attacchi della NATO che hanno portato alla fine dell’era di Muammar Gheddafi nel 2011.
Nel frattempo, gli esperti locali chiedevano ai residenti di lasciare le loro case, mentre le autorità municipali assicuravano che la situazione fosse sotto controllo negando i rischi di crollo delle dighe.
Nella notte di domenica, si moltiplicavano le telefonate dei residenti di Derna e dei villaggi della valle vicina che vedevano quantità senza precedenti di acqua dirigersi a gran velocità verso il mare.
Ma la risposta era sempre la stessa: restate in casa.
A quel punto le persone continuavano a salire agli ultimi piani delle loro case, come ad al-Bayda, vedendo compromessa ogni altra via di fuga.
Non è chiaro se le indicazioni ricevute dai cittadini siano state coerenti tra loro. Secondo la Bbc sarebbero arrivati messaggi contraddittori da parte dei due governi se gli abitanti di Derna avessero dovuto lasciare le loro case o meno.
L’accademico, Guma el-Gamaty, a guida del partito Taghyeer, ha assicurato che le persone nelle zone colpite dall’alluvione avrebbero dovuto essere evacuate ma che al contrario «hanno ricevuto l’indicazione di restare in casa».
Su questo punto, il sindaco di Derna ha negato le accuse e ha assicurato di aver avviato personalmente l’evacuazione. Le sue affermazioni non hanno trovato però conferme tra i residenti.
A quel punto i 3.500 metri cubi di acqua all’ora che hanno invaso Derna hanno riempito le abitazioni dei residenti e trascinato un numero sempre crescente di abitanti di via al-Wadi che costeggia il fiume verso il mare, mentre elettricità, telefoni e internet erano in blackout.
Aiuti internazionali col contagocce
Ma la fase di emergenza non è ancora finita. “Abbiamo bisogno di team specializzati nel recupero di cadaveri, temo che la città possa essere colpita da epidemie per il gran numero di corpi che si trovano in acqua”, ha ammesso il sindaco di Derna, al-Ghaithi.
E così la richiesta che la macchina internazionale degli aiuti si mettesse in moto è arrivata sia dalle autorità di Tripoli che di Tobruk.
Sono arrivati aiuti dalla Turchia, dall’Egitto, dagli Emirati Arabi Uniti ma il timore è che, come in altri contesti, anche la macchina degli aiuti segua la linea del sostegno internazionale alle diverse fazioni che vede la Cirenaica, principalmente appoggiata da Mosca, Cairo e sauditi.
«Entrambi i governi hanno chiesto aiuto», ha ammesso Tauhid Pasha dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni.
«La sfida è ora che il mondo risponda proporzionalmente alle necessità e alle richieste dei due governi», ha aggiunto.
Non solo, molti giornalisti in loco, hanno dichiarato che la macchina degli aiuti delle agenzie internazionali si sta attivando ancora molto lentamente.
L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Turk, ha chiesto a tutti i gruppi politici di lavorare insieme per far fronte a questa catastrofe.
«Tutti coloro i quali sono stati coinvolti devono ricevere il supporto necessario indipendentemente dalla loro affiliazione. Soprattutto questo vale per i gruppi più vulnerabili, ancora più a rischio dopo questo disastro», ha aggiunto.
Abdulkader Assad, editor del Libya Observer, ha assicurato che avere due governi in competizione ha messo a rischio tutta la macchina dei soccorsi.
«Ora che alcune città hanno subito questo disastro naturale, è chiaro che la mancanza di un governo centrale unificato sta colpendo la vita delle persone», ha concluso.
Anche il portavoce della Croce Rossa e di Red Crescent Societies, Tommaso Della Longa, ha avvertito che il tempo rimasto è poco.
«Il disastro può essere paragonato a un bombardamento e a un terremoto. Ci sono intere aree della città che non esistono più e interi villaggi distrutti dove migliaia di famiglie hanno bisogno di tutto», ha commentato Della Longa.
Dal canto suo, Meera Elnaal che si è fatta portavoce del malcontento che monta in queste ore tra i libici ha dichiarato in un’intervista alla Bbc che «molte vite potevano essere salvate e che l’intero disastro poteva essere evitato con una gestione efficace». «Non è un disastro naturale, è qualcosa che poteva essere evitato se si fosse dato ascolto agli specialisti», ha aggiunto.
Il vice-segretario delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, Martin Griffiths, ha definito il disastro di Derna come «l’evidenza degli effetti dei cambiamenti climatici».
L’Onu ha lanciato un appello urgente con la richiesta di raccogliere 71 milioni di dollari per far fronte all’emergenza.
Tuttavia, secondo l’ingegnere, Kanakis Mandalios, che ha lavorato per molti anni a Derna, le dighe non sarebbero dovute collassare.
Secondo Mandalios, la causa del disastro è da riferire a una mancanza di pianificazione urbana, ferma dal 1997, in aggiunta a costruzioni non autorizzate vicino alle dighe che hanno accresciuto la portata del flusso d’acqua.
La fase di ricostruzione che si avvierà nei prossimi mesi sarà un’occasione senza precedenti per superare le carenze infrastrutturali di Derna e dei villaggi vicini.
Eppure questa catastrofe annunciata ed evitabile fa emergere più che mai la necessità di maggiore trasparenza dei politici libici e la necessità di coordinamento e di coerenza tra i governi di Tripolitania e Cirenaica, anche in vista di elezioni politiche tanto attese ma che appaiono ancora una volta lontane dall’avere luogo in tempi brevi.