Ѐ un fango strano e secco quello che è rimasto sulle macerie di Derna, la città libica rasa al suolo dal passaggio dell’uragano Daniel che un mese fa (nella notte tra il 10 e l’11 settembre) ha portato al cedimento delle due dighe sul Wadi Derna.
Sulle sponde del fiume non è rimasto niente, se non i segni della distruzione. Si cammina tra macerie di palazzi, automobili parcheggiate dalla potenza dell’acqua nei posti e nei modi più inaspettati e palme che portano sui loro rami frutti non desiderati: materassi, stoviglie, pezzi di arredo, merce in vendita, ricordi di famiglie che davano il nome alle strade della medina.
Ora non esistono più né quelle strade, né quelle famiglie.
Il cambiamento climatico che colpisce sempre più spesso il Mediterraneo è stato certamente un colpevole, ma tutte le testimonianze raccolte tra i pochi superstiti incontrati hanno confermato che non è stata tanto l’alluvione la causa della distruzione, ma il terremoto causato dal crollo delle dighe.
Un cedimento causato dall’incuria già denunciata da tempo da studi scientifici, ignorati dalle istituzioni, come il report dell’idrologo Abdelwanees A.R. Ashoor che nel 2022 invitava le istituzioni a preoccuparsi della manutenzione delle dighe, prevendendo conseguenze disastrose in caso di alluvione.
Peraltro, nel 2021 il ministero delle risorse idriche aveva stanziato un apposito fondo di circa 2.3 milioni per la manutenzione delle dighe che però non è mai stata eseguita, per quello che Tarek Megerisi, senior researcher dell’European Council on Foreign Relations, chiama un “cocktail di negligenza e illeciti che riflette il fallimento dello stato libico”.
Sulla conta delle vittime non ci sono certezze, anche perché sono ancora tantissimi i dispersi che continuano ad emergere nel mare del porto di Derna, dove i sommozzatori continuano a parlarci di una città sommersa, causa per altro di un forte inquinamento ambientale, confermato dalla rivelazione di diversi batteri nell’acqua e nell’aria polverosa circostante.
L’avviso ai pochissimi bambini rimasti è di non toccare niente, mentre i volontari operano indossando tute anti-contaminazione, guanti e occhiali protettivi.
La sfida per la ricostruzione
Derna non è una città qualsiasi nella Libia dilaniata dalla rivalità tra l’Ovest – nelle mani del governo di Tripoli del premier Dbeibah, l’unico riconosciuto internazionalmente – e l’Est gestito dall’Esercito nazionale libico del generale Khalifa Haftar e del suo governo alleato guidato da Osama Hamad.
Modernizzata nel 900 dai colonizzatori italiani, divenne nel 1939 provincia italiana. Bastione della resistenza in nome di Dio a Gheddafi, nel 2014 fu la roccaforte della cellula locale del sedicente stato islamico, per finire poi, nel 2017, sotto assedio nella campagna condotta dal generale Haftar per smantellare la presenza islamista in Cirenaica.
Ѐ per tutti questi elementi che ora la sfida per la ricostruzione di Derna non è una questione solo umanitaria, ma anche un tema politico che potrebbe avere conseguenze sull’intero paese, esacerbando la rivalità tra Est e Ovest o – volendo essere ottimisti – superandola, facendo della solidarietà e degli aiuti internazionali in arrivo leve per tentare di unire la Libia.
In un primo momento ad emergere – in modo quasi sorprendente – è stata la collaborazione tra le autorità di entrambe le regioni rivali per far arrivare gli aiuti nelle zone colpite dal disastro.
L’aeroporto di Tripoli è stato l’hub di partenza di centinaia di volontari che dall’Ovest del paese si sono precipitati nell’Est per dare la mano a quelli che hanno chiamato, difronte a microfoni e telecamere, “i fratelli di una Libia sola e unita”.
Sorprendente vedere anche come sono state superate le storiche divisioni geopolitiche.
Gli aiuti infatti non sono arrivati solo da paesi come Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti – da sempre alleati di Haftar- ma anche da Qatar e Turchia. Una cosa impossibile da immaginare anche solo un anno fa considerato che è stata proprio Ankara a bloccare la marcia di Haftar su Tripoli nel 2019.
La solidarietà vista nelle prime ore della crisi ha però iniziato a venir meno già a una settimana esatta dal passaggio dell’uragano Daniel.
La prova è stata la manifestazione organizzata dai superstiti di Derna il 18 settembre. Gli slogan dei manifestanti hanno preso di mira lo speaker del parlamento dell’Est, Aguila Saleh, e il sindaco della città, sospeso dalle sue funzioni all’indomani della tragedia.
Entrambi sono accusati dalla popolazione di essere in parte responsabili della mal gestione delle dighe.
Proprio su questo punto è partita un’inchiesta della procura che ha già portato al fermo di otto funzionari sospettati di numerose mancanze, come la cattiva gestione dei fondi destinati alla manutenzione delle dighe crollate.
Fratture politiche
Ad emergere è anche la natura di queste divisioni, che – come già avvenuto in passato – si confermano frazioni fabbricate dalla politica piuttosto che divergenze endemiche della società civile libica che ha mostrato la sua volontà e capacità di collaborare, superando il confine politico tra Est e Ovest.
La politica però cavalca la crisi. Lo svela il ruolo sempre più protagonista che si sta ritagliando nella gestione del post alluvione il generale Haftar, da sempre descritto come l’uomo forte della Cirenaica che ora si sta presentando come il salvatore di Derna.
Suo figlio Saddam ha sfilato disinvolto più sere in quel che resta delle vie della Medina di Derna, promettendo ai pochi cittadini rimasti fondi e una veloce ricostruzione.
Ѐ proprio lui l’uomo messo a capo della commissione per la risposta alla crisi. Ed è stato proprio lui a recarsi all’interno del campo allestito dagli italiani, nelle prime ore dell’emergenza, per ringraziarli dei soccorsi portati.
Le divisioni della politica libica si stanno già riflettendo nel processo di ricostruzione.
Il primo segnale di questa tensione è lo slittamento della conferenza sulla ricostruzione, prevista il 10 ottobre e riprogrammata per inizio novembre.
L’invito della comunità internazionale – reso vocale dall’ambasciatore statunitense in Libia – è di fare della ricostruzione un evento nazionale, con operazioni condotte congiuntamente da Est e Ovest.
Già la scorsa settimana, i paesi europei in concerto con le Nazioni Unite avevano auspicato la creazione di un meccanismo indipendente per supervisionare la ricostruzione.