Comincia a delinearsi il quadro della candidature per le presidenziali del 24 dicembre in Libia. Dopo l’annuncio a sorpresa, domenica scorsa, di Seif al-Islam, figlio del deposto leader libico Muammar Gheddafi, è arrivata oggi la conferma di un “nuovo” competitore, il generale Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito nazionale libico (Lna), la coalizione armata della Cirenaica che ha tentato senza successo di prendere il potere con la forza nell’aprile del 2019. Il militare ha diffuso un filmato in cui afferma che «le elezioni sono l’unica unica via d’uscita alla crisi». Gli elettori libici sono chiamati «a scegliere la strada dopo esperienze amare e anni di conflitti e crisi: ora vi è stata aperta una porta di speranza per scegliere i vostri leader e ripristinare la legittimità per portare il paese verso la stabilità», il messaggio del federmaresciallo, tra i principali attori della guerra civile che ha distrutto il paese.
Haftar ha temporaneamente (fino al giorno del voto) lasciato la guida delle forze militari dell’est della Libia al generale Abdul Razzq Nadori, in modo da potersi candidare secondo le controverse leggi emanate dal parlamento di Tobruk.
Ma sia la candidatura di Gheddafi jr sia quella di Haftar sono sotto osservazione. Il sostituto procuratore presso la Procura militare libica ha infatti chiesto al capo dell’Alta commissione elettorale, Imad al Sayeh, di interrompere la procedura delle due candidature fino a quando non saranno completate le indagini sulle accuse a carico dei due. Nella lettera inviata all’Alta commissione elettorale, si precisa che Al-Sayeh sarà ritenuto responsabile legalmente in caso di eventuali violazioni.
Sulla vicenda di Seif al-Islam è intervenuta anche la Corte penale internazionale, Premettendo che non è intenzione della Cpi commentare le questioni interne libiche, il portavoce del tribunale dell’Aia ha tuttavia ricordato come il figlio del Colonnello sia dal 2011 destinatario di un mandato di arresto della Cpi per crimini contro l’umanità. E quel mandato resta in vigore.
La candidatura del 49enne Seif al-Islam sta dividendo i fronti nel paese (come se non ci fossero già divisioni profonde). Ieri ci sono state manifestazioni a Tripoli contro di lui. E anche dignitari di diverse città libiche hanno chiesto il boicottaggio delle elezioni presidenziali di dicembre e la chiusura di diversi seggi elettorali nell’ovest del paese per ostilità alla candidatura di uno dei figli dell’ex dittatore.
A ribellarsi, in particolare, il Consiglio dei notabili e dei saggi di Misurata baluardo della rivolta contro il regime di Gheddafi e da cui provengono le milizie più potenti della Libia occidentale. «Respingiamo la candidatura di coloro che hanno usato una forza eccessiva di fronte alla rivolta del popolo libico e che sono presi di mira dai mandati di arresto del sistema giudiziario libico e della Corte penale internazionale (Cpi)», la dichiarazione del Consiglio dei notabili pubblicata su Facebook, nella quale invitano i “patrioti liberi” a manifestare contro lo svolgimento del voto.
Domenica, anche i “leader rivoluzionari di Zaouia” (città a 45 km a ovest di Tripoli) hanno dichiarato di «rifiutare categoricamente la candidatura dei due criminali di guerra, Seif al-Islam Ghedhafi e Khalifa Haftar, ricercati dalla giustizia”, secondo un video postato online che mostra decine di persone radunate nella piazza centrale.
Resta da vedere se anche il primo ministro Abdelhamid Dbeibah cederà alla tentazione. Ha detto che rivelerà le sue intenzioni a tempo debito, criticando tuttavia le leggi elettorali che non consentirebbero a chi ha incarichi istituzionali di candidarsi per le “presidenziali” a meno che non si dimetta tre mesi prima dal voto. Cosa che Dbeibah non ha fatto.
Chi volesse candidarsi a presidente ha tempo fino al 22 novembre per presentare la sua richiesta all’Alta Commissione elettorale.
Secondo la quale sono 2,83 milioni gli elettori registrati per le elezioni presidenziali e legislative, che sono state posticipate a febbraio.