La Libia sta lottando per districarsi da oltre un decennio di caos sul fronte della sicurezza energetica (oltre a quella politica), che sta minando l’economia di un paese disastrato.
Secondo i dati pubblicati domenica 7 gennaio 2024 dalla Banca centrale, la Libia ha guadagnato 99,1 miliardi di dinari (20,69 miliardi di dollari) dalle esportazioni di petrolio nel 2023 rispetto ai 105,4 miliardi di dinari nel 2022.
Calo dovuto anche (se non soprattutto) ai blocchi dei pozzi petroliferi e gassiferi.
Domenica scorsa ha cessato le operazioni il giacimento petrolifero di Sharara, il più grande del paese.
Mobilitazione popolare
Una scelta dovuta alle proteste della popolazione che si è lamentata della carenza di carburante.
La National Oil Corp (Noc), l’ente petrolifero statale libico, ha annunciato la chiusura invocando “forza maggiore”.
Questo termine legale libera la società dai suoi obblighi contrattuali alla luce di eventi imprevisti.
Gli effetti
La chiusura di Sharara ha effetti immediati sulla produzione petrolifera libica, un paese che produce 1,2 milioni di barili al giorno.
Questo giacimento da solo vanta una capacità di 300mila barili al giorno. La sua sospensione ha portato all’interruzione delle forniture di petrolio al terminal di Zawiya, situato sulla costa mediterranea.
Le proteste, guidate dalla grave carenza di carburante, hanno avuto origine a Ubari, una città a quasi 950 chilometri dalla capitale libica, Tripoli.
Le azioni dei residenti nel chiudere Sharara evidenziano il crescente malcontento per la scarsità di carburante, una questione cruciale che influenza la loro vita quotidiana.
Un’interruzione che colpisce l’economia della Libia e potrebbe ripercuotersi sui mercati petroliferi globali.
Proteste anche a Mellitah
Ma non è solo il giacimento petrolifero a essere preso di mira dalla popolazione. Oggi alle 14 ora italiana è prevista una manifestazione di protesta presso il complesso gassifero e petrolifero di Mellitah, l’unico snodo per l’esportazione del gas libico verso l’Italia attraverso il gasdotto Greenstream.
I dimostranti del movimento No Corruption, gruppo che aveva già organizzato proteste simili in passato, provengono dalle municipalità di Tripoli occidentale, Zawiya, Surman, Ajilat e Al Jabal. I manifestanti hanno minacciato di chiudere il sito di Mellitah «entro tre giorni», se non verrà soddisfatta la loro richiesta di licenziare il presidente della Noc, Farhat Bengdara.
Già oggetto di lamentele
E non è la prima volta che scoppiano proteste in quel sito. Nel gennaio del 2023 i manifestanti avevano causato un parziale arresto delle esportazioni di petrolio e gas, mentre il governo di Tripoli stava finalizzando un accordo da 8 miliardi di dollari con il colosso energetico italiano Eni per aumentare le esportazioni.
«Il complesso di Mellitah è stato preso d’assalto dai manifestanti che sono riusciti a raggiungere il centro di controllo», aveva affermato l’Unione dei lavoratori del petrolio e del gas di Mellitah in un post su Facebook.
Contestato l’accordo con l’Eni
La protesta di oggi si inserisce nel contesto delle polemiche scoppiate in Libia sui negoziati con un consorzio guidato da Eni con la francese Total, l’emiratina Adnoc e la turca Tpao per lo sviluppo del giacimento onshore di Hamada, a est di Ghadames. L’accordo – portato avanti dalla Noc e che dovrebbe essere firmato a fine gennaio – è stato criticato perché considerato svantaggioso per la parte libica e non conforme alle leggi libiche.
Da parte sua, il governo libico di unità nazionale (Gun) guidato dal primo ministro Abdulhamid Dbeibah, in una riunione allargata del Consiglio supremo per gli affari dell’energia e dell’acqua, ha affermato che saranno prese in considerazione tutte le osservazioni tecniche. Ma ha pure ribadito che la Libia deve «aumentare la produzione di petrolio e gas» sviluppando «nuove scoperte» con «investimenti esteri e interni», nel pieno rispetto «dei diritti dello stato libico».
Vale la pena ricordare che la chiusura dei siti petroliferi è relativamente frequente in Libia, in particolare nella regione sud-occidentale del Fezzan, ricca di petrolio ma povera di servizi, dove a comandare non è il governo di Tripoli, ma il clan legato al generale Haftar.