In Libia tornano i raid in Tripolitania dopo i tentativi falliti delle autorità di Tobruk di raggiungere Tripoli negli ultimi anni.
Il 28 maggio attacchi con droni Bayraktar, forniti dalla Turchia, hanno provocato almeno due vittime e vari feriti, tra cui il nipote di un deputato, Ali Bouzribah, che ha puntato il dito contro il governo di Tripoli, guidato da Abdel Hamid Dbeibah. Anche i parlamentari di Tobruk hanno condannato i raid, insieme a diplomatici francesi, inglesi e statunitensi.
Secondo le autorità della Tripolitania, i primi due giorni consecutivi di raid, avvenuti nel porto di al-Mayah, che si trova tra Tripoli e Zawiya, sono stati parte di un’operazione più ampia che mira a smantellare le reti di contrabbandieri coinvolti nel business delle migrazioni e nei saccheggi di carburante, e di trafficanti di droga attivi nell’area, da dove sono partiti molti dei barconi diretti verso le coste italiane negli ultimi anni.
In una riunione di sicurezza, svoltasi il 1° giugno, il premier di Tripoli Dbeibah ha dichiarato che le operazioni andranno avanti, superata la “prima fase”.
Secondo i dati ufficiali, sette imbarcazioni utilizzate nel traffico di migranti dalla Libia verso l’Italia sarebbero state distrutte, insieme a sei magazzini di droga, armi e attrezzature usate da bande locali, incluse nove cisterne usate per contrabbandare carburante all’estero.
A esacerbare il clima di tensioni e violenze, era arrivata nei giorni scorsi la notizia del ritrovamento del cadavere di Mohammed al-Senussi, figlio dell’ex capo dei servizi segreti di Muammar Gheddafi, a Sebha, capoluogo della regione sud-occidentale libica del Fezzan.
Il business delle migrazioni dalla Cirenaica
Proprio per discutere di sbarchi, lo scorso 4 maggio, il generale Khalifa Haftar aveva incontrato a Roma la premier Giorgia Meloni. Il tema sul tavolo dei colloqui era l’aumento degli sbarchi di persone migranti dalla Cirenaica.
Soltanto lo scorso 23 maggio, Alarm Phone aveva denunciato la presenza di 500 rifugiati in pericolo al largo della Libia, poi fatti rientrare nel paese africano, noto per il pessimo trattamento che subiscono i migranti.
Dall’inizio dell’anno c’è stato un aumento del 167% degli arrivi sulle coste italiane, secondo i dati delle Nazioni Unite. Se dei 48.279 la maggioranza arriva dalla Tunisia, ben 21.154 sono partiti dalle coste libiche.
Come se non bastasse, in Cirenaica le unità militari del generale Khalifa Haftar hanno arrestato oltre mille migranti irregolari a Tobruk e Musaid nei giorni scorsi.
Violenti scontri erano esplosi al valico di Musaid, tra Libia ed Egitto. Le violenze sarebbero state innescate dalla morte di un bambino della tribù degli al-haboun, ucciso a colpi di arma da fuoco, esplosi dalle guardie di frontiera contro un’automobile sospettata di trasportare un presunto contrabbandiere.
La sospensione di Bashagha
Le crescenti tensioni sono arrivate a poche settimane dalla sospensione del premier del governo della Cirenaica, Fathi Bashagha, da parte del parlamento di Tobruk, avvenuta lo scorso 16 maggio.
Le accuse di corruzione, mosse contro Bashagha, avevano aperto la strada alla nomina ad interim del ministro delle finanze, Osama Hammad. In realtà la scelta di sfiduciare Bashagha, secondo molti analisti libici, nasconderebbe uno scontro con il generale Haftar in materia di appalti, dai quali la famiglia del militare sarebbe stato estromesso.
Secondo altri analisti, citati da Al-Jazeera, la rimozione di Bashagha è un segnale sia della sua incapacità di prendere il controllo di Tripoli, con il dovuto consenso di tutte le anime delle autorità di Tobruk, ma anche un passo che potrebbe dimostrare all’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, Abdoulaye Bathily, la volontà di procedere alla formazione di un governo di unità nazionale e andare alle elezioni, sebbene la data di dicembre sembra sempre più improbabile.
Bathily aveva tentato in ogni modo di favorire il dialogo tra il governo di Tripoli di Dbeibah e le autorità di Tobruk proponendo «un processo partecipativo e rappresentativo» che includesse istituzioni politiche e personalità, leader tribali, organizzazioni della società civile, attori della sicurezza e giovani, contro tutte le «entità che minacciano la pace, la stabilità o la sicurezza della Libia».
Per ottenere il suo scopo, Bathily aveva puntato sulla formazione di un “alto comitato”, inclusivo di tutte le fazioni libiche, inclusi i vertici militari di Cirenaica e Tripolitania.
Eppure, i tentativi egiziani di una mediazione parallela a quella delle Nazioni Unite avevano messo a dura prova il piano Bathily che, nel frattempo, aveva incassato l’approvazione da parte delle due Camere libiche del 13° emendamento della Costituzione per stabilire le procedure per l’elezione di presidente, primo ministro e deputati.
Tutto ciò in attesa che le fazioni libiche si mettano d’accordo sulla legge elettorale. Sul tema il Comitato congiunto per la stesura della legge elettorale aveva raggiunto un accordo preliminare in Marocco la scorso settimana, rendendo possibile che si sedessero allo stesso tavolo parlamentari di Tripoli e di Tobruk che già avevano mostrato la volontà di aprire una fase di dialogo negli incontri dei mesi scorsi.
La distruzione del patrimonio coloniale italiano
Se la tensione è alle stelle in Libia, non si ferma neppure la distruzione del patrimonio storico. L’ultimo scempio ha riguardato alcuni edifici di epoca coloniale italiana di Bengasi.
Miliziani del gruppo armato Tariq Ben Zeyad, guidato da Saddam Haftar, figlio del generale di Tobruk, hanno demolito vari edifici costruiti in epoca fascista, e tra questi alcune antiche strutture che si trovavano nel cuore della città, lungo via Omar al-Mokhtar.
Degno di nota in particolare era il teatro Berenice, ideato dall’architetto Marcello Piacentini negli anni Venti, insieme alla sede centrale del Banco di Roma, della Cassa di Risparmio, ed alcuni palazzi di notabili.
La vittoria elettorale del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, non tarderà a far sentire i suoi effetti anche in Libia.
Dagli accordi del 2019 Turchia e Russia si spartiscono Libia e Siria in zone di influenza. Se, da una parte, il Cairo ha sempre appoggiato Haftar e le istituzioni di Tobruk in Cirenaica, insieme ad Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Russia, contractors del gruppo Wagner, milizie 106, 201 e 604; dall’altra, la Turchia con il Qatar, mercenari siriani e turcomanni, si sono schierati con le autorità di Tripoli, le milizie di Misurata, e con il premier Dbeibah.