La firma di un accordo preliminare tra il governo di Tripoli e la Turchia, che consente alle piattaforme petrolifere e alle navi di quest’ultima di cercare petrolio e gas naturale sul suolo libico e nella zona economica esclusiva (ZEE) del paese, rischia di aggravare la crisi delle relazioni con l’Egitto e soprattutto con la Grecia, poiché ignora le isole greche, in particolare Creta, che si trovano tra la Libia e la Turchia, che non sono confinanti.
Trivellazioni nel Mediterraneo orientale
L’accordo, firmato ieri dalla ministra degli esteri di Tripoli Najla Mangoush, e dal suo omologo turco Mevlut Cavusoglu, prevede un futuro sostegno alle trivellazioni turche in terra e in mare alla ricerca di idrocarburi. Soprattutto, definisce come ZEE libica quella concordata dalla Turchia e dal governo di Tripoli in un contestatissimo memorandum firmato il 28 novembre 2019 e denunciato da Grecia ed Egitto, i due paesi che si frappongono tra Libia e Turchia.
In quel documento, Ankara e l’allora governo di unità nazionale (Gna) – riconosciuto dalle Nazioni Unite e con sede a Tripoli, guidato da al-Sarraj –firmarono due memorandum d’intesa (MoU). Il primo riguardava la cooperazione in ambito militare e il secondo, appunto, i confini marittimi dei paesi del Mediterraneo orientale, consentendo sia alla Turchia sia alla Libia di preservare i propri diritti e interessi in quelle acque.
L’accordo rende la Turkish Petroleum Corporation (TPAO) un attore significativo in un mercato un tempo dominato da società francesi e italiane. Inoltre, potenzialmente, permetterebbe alla Turchia di ottenere dal governo di Tripoli concessioni per l’esplorazione di aree a sud di Creta, sfidando direttamente i diritti della Grecia. Che ha alzato subito le barricate.
La reazione greca
Il ministero degli esteri greco ha infatti reagito con forza all’accordo: «La Grecia ha diritti sovrani nell’area, che intende difendere con tutti i mezzi legali», ha dichiarato in un comunicato. Ribadendo poi la posizione di Atene secondo cui il “memorandum” turco-libico del 2019 è illegale, non valido e inesistente. Pertanto, nessuno ha il diritto di invocarlo».
Il ministro degli esteri Nikos Dendias domenica prossima si recherà al Cairo per un incontro con il suo omologo egiziano, Sameh Shoukry. Il quale ieri su Facebook ha dichiarato che il governo di Tripoli «non ha la legittimità per concludere accordi internazionali o memorandum d’intesa».
La vittoria turca
Cavusoglu ha difeso, invece, questo accordo e il memorandum del 2019. Si tratta di «una questione tra due paesi sovrani. È una vittoria per entrambi e gli altri paesi non hanno il diritto di interferire in tali questioni», ha ribadito.
In cambio dell’accordo di delimitazione marittima del 2019, la Turchia aveva aiutato il governo di Tripoli a respingere l’offensiva, nel giugno 2020, delle forze del maresciallo Khalifa Haftar, uomo forte dell’Est, per prendere la capitale.
Ankara aveva inviato in Libia consiglieri militari e droni, che avevano inflitto una serie di sconfitte alle porte di Tripoli alle forze del maresciallo Haftar, appoggiate dalla Russia e dai rivali regionali di Ankara, in particolare gli stati degli Emirati Arabi e l’Egitto. Da marzo due governi si contendono il potere in Libia, paese precipitato nel caos dopo la rivolta che ha portato alla caduta del regime di Muammar Gheddafi nel 2011.
Il governo di Tripoli è nato nel 2021 nell’ambito di un processo di pace promosso dalle Nazioni unite. Mentre l’altro esecutivo, guidato dall’ex ministro dell’interno del Gna, Fathi Bachagha, e sostenuto sul campo dal maresciallo Haftar, è nato il 1° marzo del 2022 dopo il voto del parlamento di Tobruk.
Il presidente del parlamento orientale, Aguila Saleh, che ha ritirato la sua fiducia al governo di Tripoli per darla all’esecutivo rivale, ha definito l’accordo firmato lunedì «illegale e inaccettabile».
Per molti analisti politici, la visita e gli accordi arrivano in un momento critico e saranno visti come un’escalation.