Lo Zimbabwe cerca di mettersi al riparo da una crisi alimentare – e dunque sociale – già annunciata. A fine maggio aveva comunicato l’importazione di 400mila tonnellate di mais, per un valore di 100 milioni di dollari, dai vicini Zambia e Malawi, a causa della carenza di grano dovuta a raccolti scarsi ma anche all’accaparramento da parte degli agricoltori che chiedono di essere pagati in dollari statunitensi.
Ora – quello che una volta era considerato il granaio dell’Africa e le cui produzioni sono scese di oltre il 40% – si rivolge alla Russia direttamente. Nei giorni scorsi il governo ha incontrato – e ospitato – la terza carica più importante di Mosca, Valentina Ivanovna Matvienko, presidente del consiglio della Federazione russa.
Lo scopo, naturalmente, stringere accordi commerciali che facciano superare la crisi imminente. Accordi che siano vantaggiosi per entrambe le parti. Lo hanno assicurato sia il presidente, Emmerson Mnangagwa che la rappresentante russa. Parlando con i giornali locali quest’ultima ha detto: «Sviluppare relazioni con i paesi africani è una delle priorità della politica estera russa. Scopo della mia visita è rafforzare la cooperazione secondo il mutuo rispetto reciproco».
Dalla Russia lo Zimbabwe cerca carburante, olio da cucina e quel grano che era solito produrre in grandi quantità e poi importare dall’Ucraina, mentre la Russia tiene gli occhi puntati sulla ricchezza mineraria del paese. Lo Zimbabwe – ricordiamo – dipende dai due paesi oggi in guerra per circa il 65% del grano importato.
E da quando è cominciato il conflitto, il prezzo del pane e della farina è aumentato drasticamente, andando ad incidere su una situazione già difficile. Una decisione governativa vieta agli agricoltori di vendere il grano a privati ma questi sarebbero decisi a non venderlo neanche al Grain Marketing Board, organismo governativo per il commercio dei cereali, ad una cifra stabilita dallo stato e che ritengono affami la categoria.
Il periodo è, insomma, particolarmente delicato per la tenuta sociale del paese. Tutto quello che accadrà nei prossimi mesi – compresi gli accordi con la Russia – avrà un peso sulle elezioni generali (presidenziali e parlamentari) in programma tra poco più di un anno. Rimane forte e in primissimo piano il partito al potere dall’indipendenza, lo Zanu-Pf (Unione Nazionale Africana dello Zimbabwe – Fronte Patriottico), anche se alle recenti elezioni parlamentari suppletive l’opposizione della Coalizione dei cittadini per il cambiamento (Ccc) ha conquistato 19 seggi.
Amicizia di lunga data
Il partito al potere con la Russia ha strettissimi legami. Fu la Russia, infatti, a fornire armi allo Zanu-Pf mentre combatteva per l’indipendenza del paese alla fine degli anni ’70. Sono legami storici e ideologici, dunque, quelli che uniscono i due paesi che ancora una volta dichiarano – con l’incontro ufficiale dei giorni scorsi – di voler rinsaldare l’“amicizia” ed unire le forze per affrontare il particolare momento storico.
Dopotutto i due paesi si sono sostenti anche quando si è trattato di reagire alle sanzioni internazionali. Anche lo Zimbabwe conosce bene questo tipo di risposte dell’Occidente. Il paese è stato sanzionato più volte: nel 2001 e nel 2018 dagli Stati uniti e nel 2002 dall’Unione europea in relazione all’escalation di violenze e violazione dei diritti umani collegati all’occupazione e ridistribuzione delle terre dai proprietari bianchi (la minoranza del paese) ai contadini dello Zimbabwe, voluta dall’ex presidente Robert Mugabe.
Sanzioni non solo finanziarie, ma che includono il divieto di esportazione di armi e il blocco sui viaggi, sempre prorogate da allora (l’ultima è al febbraio 2023). Nel 2008 si rischiarono altre sanzioni, questa volta da parte dell’Onu. A Mugabe venivano contestati brogli elettorali e forti intimidazioni alla popolazione nelle ultime consultazioni. Prassi che non si è fermata con l’ascesa del suo successore Mnangagwa.
A evitare le sanzioni, quella volta furono i voti contrari di due membri permanenti del Consiglio di sicurezza: la Russia e la Cina. Lo Zimbabwe, dal canto suo, nel marzo scorso si astenne dal volto sulla risoluzione delle Nazioni unite di condanna dell’invasione russa all’Ucraina.
«Lo Zimbabwe è percepito dalla comunità internazionale occidentale e dagli Stati uniti che sono attualmente in una relazione antagonista con la Russia, come uno stato paria, come un avamposto della tirannia. Quindi lo Zimbabwe storicamente e ideologicamente vicino alla Russia si appoggerà di più a quest’ultima e alla Cina che alla comunità internazionale occidentale», ha detto Alexander Rusero, capo dipartimento Studi relazioni internazionali all’Africa University in Zimbabwe.
Per Putin l’Africa è un continente amico, lo ha sempre detto. E nell’incontro con il presidente dell’Unione africana, Macky Sall, qualche giorno fa, ha assicurato che farà tutto il possibile per garantire l’arrivo del grano, a patto che vengano rimosse le sanzioni e che l’Ucraina si impegni a sminare le aree di passaggio delle navi. Nulla di fatto sul piano pratico, dunque, ma sicuramente un’ulteriore conferma delle relazioni sempre più strette – e indipendenti dall’Occidente – tra i leader africani e il Cremlino.