“Il corpo umano, in quanto opera di Dio, è sacro. Quindi niente e nessuno ha autorità su quest’ultimo, nemmeno la legge”. Così i vescovi del Madagascar in un comunicato stampa in cui denunciano la legge che autorizza la castrazione chimica e, in alcuni casi, chirurgica per gli stupratori di bambini.
Una legge difesa dal presidente Andry Rajoelina come misura finalizzata a scoraggiare le persone dal commettere questo crimine contro i minori, che ha registrato un incremento, con 600 casi registrati nel 2023 e 133 solo nel gennaio di quest’anno.
La Chiesa cattolica è la prima istituzione che ha denunciato apertamente questo provvedimento legislativo.
Nel comunicato della Conferenza episcopale la castrazione viene definita senza ambiguità un atto di “tortura”, contrario ai diritti umani e ai principi stessi della Chiesa.
Denis-Alexandre Lahiniriko, storico malgascio specializzato nei rapporti tra Chiesa e Stato, sostiene che l’attrito tra Stato e Chiesa si è aggravato da quando il regime ha deciso la sostituzione dell’ambasciatrice presso l’Unione Europea, Isabelle Delattre Burger, perché ha criticato la misura riguardante la castrazione.
Anche le associazioni malgasce che lottano contro la violenza sessuale hanno denunciato la legge, in quanto incentrata sugli autori dello stupro piuttosto che sulle vittime.
Lova Ranoromaro, portavoce del presidente Rajoelina, ha dal canto suo assicurato che il regime “prende sul serio” le preoccupazioni sollevate dai vescovi e si dice aperto al dialogo con tutte le parti.
Tuttavia, benché la legge sia già stata approvata dal parlamento a febbraio e avvallata dalla Corte Costituzionale, prima della sua promulgazione ufficiale la stessa Corte ha chiesto dettagli sulla pratica concreta di tali operazioni affinché non provochino “sofferenza acuta, fisica o morale”.
Vari esperti ritengono in ogni caso che la legge non verrà mai applicata.