Era moribondo da almeno un anno e ora ha ricevuto il colpo definitivo.
La giunta militare al potere in Mali dopo il golpe del 2020 ha dichiarato ieri «concluso con effetto immediato» l’accordo di Algeri, stipulato nel 2015 con i gruppi indipendentisti a dominante tuareg attivi nel nord del paese saheliano.
In un comunicato la giunta afferma che la fine dell’accordo è stata determinata dal «mutato atteggiamento di taluni gruppi armati», ma anche da «atti di ostilità e di strumentalizzazione dell’accordo da parte dell’Algeria» il paese che è stato il capo fila della mediazione che ha portato all’intesa di nove anni fa.
Per il Mali in mano al colonnello Assimi Goita si tratta di una ulteriore rottura dopo il benservito alla Francia, ex potenza coloniale, per rivolgersi alla Russia e l’allontanamento della Missione ONU (MINUSCA).
La conflittualità nel nord del Mali si era innescata nel 2012, anche come conseguenza dei mutati equilibri in seguito alle “primavere arabe”, quando diversi gruppi ripresero le armi per l’indipendenza o l’autonomia. Una insurrezione che aprì la strada anche a gruppi armati legati ad al-Qaida che conquistarono settori del nord, inducendo l’intervento di Parigi.
La denuncia dell’accordo del 2015 complica anche le relazioni con l’Algeria, paese con cui il Mali condivide una lunga frontiera. La giunta maliana accusa le autorità algerine di ospitare sul suo territorio uffici di rappresentanza di gruppi che, secondo Bamako, sono diventati «terroristi». Inoltre rimprovera ad Algeri di aver votato, in sede Onu, per il mantenimento delle sanzioni contro la giunta golpista.
Per tutta risposta il Mali ha annunciato che darà ospitalità al Movimento per l’autodeterminazione della Cabilia – regione ad est di Algeri di etnia e lingua berbera – che ha un contenzioso aperto con Algeri.