Mali: in molti lasciano. Non l’Italia - Nigrizia
Conflitti e Terrorismo Mali Niger
Già 200 soldati italiani a Bamako
Mali: in molti lasciano. Non l’Italia
Mentre Francia, Germania, Svezia, Norvegia mettono in discussione la loro partecipazione alla missione Takuba, il ministro della difesa Guerini conferma che il Sahel resta strategico per Roma. Al vertice Ue-Ua del 17-18 febbraio si decide la sorte dei militari europei
07 Febbraio 2022
Articolo di Giba
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«Salvo un rovesciamento delle autorità a Bamako, la Francia e i suoi partner europei stanno esaminando l’opportunità e le modalità di un ritiro totale delle proprie truppe dal Mali. L’ipotesi è infatti sul tavolo delle consultazioni in corso tra Parigi, le capitali europee e africane impegnate in questo paese nella lotta ai jihadisti».

Le fonti diplomatiche consultate da Le Monde danno tempo fino al 17-18 febbraio prossimi, quando si svolgerà il vertice Unione europea e Unione africana, per trovare una soluzione alternativa alla fuoriuscita dei militari europei, francesi in particolare, dalle sabbie mobili saheliane. Maliane, soprattutto.

Parigi continua a perdere pezzi nella sua ex colonia. Anche il 4 febbraio c’è stata una massiccia manifestazione a Bamako con diverse centinaia di persone radunate nel cuore della capitale a chiedere la partenza dal paese delle truppe transalpine della missione Barkhane. Installata nel 2014, questa operazione militare guidata dall’esercito francese con i suoi alleati nel Sahel e nel Sahara mira a combattere i gruppi jihadisti nella regione. I manifestanti hanno chiesto che il Mali possa esercitare pienamente la sua sovranità nazionale.

La rottura, apparentemente definitiva, con Parigi si è consumata dopo l’espulsione dell’ambasciatore francese Joel Meyer dal Mali. Ora è giunto il momento, si ritiene in Francia, di chiarire collettivamente la situazione. «Ha senso impegnarsi solo quando puoi essere efficace. Dove le condizioni non sono soddisfatte, non dovresti rimanere», ha ribadito la fonte diplomatica al quotidiano francese.

Le delegazioni che scappano

Una posizione già assunta singolarmente da altri governi europei. Il 14 gennaio, la Svezia ha annunciato che avrebbe ritirato i 150 soldati della missione Takuba (sciabola nella lingua locale, missione europea istituita nel 2020 nel tentativo di colmare il vuoto annunciato dalla presenza militare francese in Mali), e i 250 della missione Minusma dell’Onu.

Il 27 gennaio, la Danimarca ha deciso di ritirare i suoi 100 uomini perché considerati «non invitati» dalla giunta golpista maliana. Il 1° febbraio la Norvegia ha annunciato di aver annullato il proprio invio di militari in Mali, vista la situazione. «Non è possibile partecipare alla missione Takuba» ha detto il ministro della difesa norvegese Odd Roger Enoksen.

La stessa Germania, con la ministra degli esteri Annalena Baerbock, ha messo in discussione la partecipazione tedesca alla missione di addestramento Ue in Mali (Eutm Mali) e alla Minusma. Intervistata dal quotidiano Sueddeutsche Zeitung, l’esponente dei Verdi ha affermato: «Alla luce dei recenti passi compiuti dal governo maliano, dobbiamo onestamente chiederci se sussistono ancora le condizioni per il successo del nostro impegno congiunto». A maggio del 2021, il Bundestag aveva approvato il rinnovo fino al 31 maggio prossimo della partecipazione delle Forze armate tedesche a Eutm Mali e Minusma. In corso dal 2013, le missioni sono dedicate rispettivamente all’addestramento delle Forze armate maliane e alla stabilizzazione del paese africano.

La domanda che molti governi europei si sono posti è se non sia giunto il momento di cercare di guadagnare tempo per tentare una strada diversa con il regime maliano, sanzionato dai suoi vicini della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Cedeao) e dall’Ue. «Il tema attuale è: in Mali sono ancora soddisfatte le condizioni per un’azione efficace contro i gruppi terroristici? Questa è la domanda che ci poniamo collettivamente», ha affermato a Le Monde il diplomatico.

Guerini senza dubbi

L’unico che non pare porsi interrogativi sembra essere il ministro della difesa italiano Luciano Guerini. In una lettera inviata al quotidiano Il Foglio il 4 febbraio, l’esponente piddino ha confermato come il Sahel sia strategico per l’Italia anche per ragioni non strettamente militari: « Il Mali è un paese cruciale per gli equilibri nella regione del Sahel e, sebbene la transizione verso il ritorno alla democrazia abbia subito un rallentamento, la scelta di lasciare il paese potrebbe dare spazio ad altri attori che cercano di rafforzare il loro ruolo nella regione, anche attraverso l’uso di gruppi paramilitari».

Il riferimento è alla Russia e al gruppo paramilitare Wagner che pare abbia stretto un patto con Bamako. Guerini ammette che in Mali «le relazioni con la giunta militare non sono semplici. Dobbiamo continuare a impostare un confronto esplicito su punti centrali e dirimenti per confermare il nostro impegno».

Del resto Guerini era stato in Mali (e poi in Niger) il 19 maggio 2021, incontrando quell’Assimi Goita, all’epoca vicepresidente del paese e già golpista un anno prima, che realizzerà un nuovo colpo di stato qualche giorno dopo la visita della delegazione italiana, ponendo sé stesso al vertice dell’esecutivo.

Già nell’incontro del 19 maggio, il ministro della difesa italiano aveva dichiarato che Roma «intende rafforzare la sua presenza nel Sahel». Infatti a marzo erano arrivati i primi assetti (elicotteri per attività di evacuazione medica) e poi a gennaio del 2022 sono atterrati i 200 militari sempre inquadrati nella Task Force Takuba.

Missione da 49 milioni di euro

L’Osservatorio Milex sulle spese militari ha ricordato, qualche giorno fa, che la missione in Mali (formata oltre che dai 200 militari, da decine di mezzi terrestri, sei elicotteri e un ospedale da campo) «ha ricevuto per il 2021 un finanziamento di quasi 49 milioni di euro, di cui 10 milioni esigibili nel 2022. A supporto della missione è stata potenziata anche la missione militare italiana nel confinante Niger (295 militari, 100 mezzi terrestri e 6 mezzi aerei finanziata nel 2021 con 44,5 milioni di euro) con la trasformazione della base italiana a Niamey in hub logistico per le forze schierate in Mali e con l’invio di altre forze speciali».

Una scelta, quella di essere presenti in Mali, che è vuole essere solo militare. O almeno così l’ha spiegata Guerini. Che ha confermato, infatti, l’apertura di rappresentanze diplomatiche nell’area e la partecipazione italiana a iniziative regionali come il G5 Sahel. «La nostra è una chiara scelta di politica estera», la presa di posizione del ministro della difesa.

Nel maggio scorso, a Bamako, l’esponente del Pd aveva esplicitato chiaramente quale fosse questa nuova politica estera italiana in Africa: «La nostra strategia per questa parte del continente si sta sviluppando all’interno di un immaginario triangolo, i cui vertici congiungono quadranti tra loro distanti ma interconnessi. A sudovest c’è il Golfo di Guinea, a sudest il Corno d’Africa, e al vertice nord, sulle sponde del Mediterraneo, la Libia». In mezzo il Sahel.

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