Nel Sahel, le unioni regionali non sembrano più limitate agli stati. A quasi un anno dalla creazione dell’Alleanza degli stati del Sahel (AES), da parte di Mali, Burkina Faso e Niger, ora anche i rivali di quest’ultimi optano per un’unione delle forze. Così verrebbe da chiosare a due giorni dall’annuncio fatto da due tra i principali gruppi ribelli di Mali e Niger, rispettivamente il Quadro strategico permanente (noto sotto l’acronimo francese di CSP) e il Fronte patriottico per la liberazione (FLP).
I primi commenti di analisti sottolineano come alleanze transfrontaliere del genere tendano ad essere piuttosto volatili e a rispondere più a esigenze comunicative (cioè farsi pubblicità/ gonfiarsi il petto) che a reali finalità pratiche-politiche. In generale è presto per dire che cosa aspettarsi da questa unione, o definire quante speranze abbia di stare in piedi. Vale la pena, quantomeno, inquadrare la situazione in una regione rilevante per l’Italia e in cui la frammentazione e riconfigurazione degli attori procede a vele spiegate.
Chi sono e perché contano? Il CSP
Partiamo in ordine di importanza, con il CSP. Attorno alla sua sigla si raccoglie quel che rimane delle forze militari tuareg e arabe indipendentiste insorte contro il governo centrale di Bamako tra il 2012 e 2013. Allora agivano sotto il nome di Movimento di liberazione nazionale dell’Azawad (MLNA), dal nome di un’ampia parte del nord Mali di cui reclamavano l’indipendenza. I loro piani andarono in fumo per l’effetto combinato di due fattori: l’appropriazione della lotta per l’indipendenza da parte dei movimenti jihadisti; e l’intervento militare francese.
Parigi intervenne con l’operazione militare Serval per arrestare l’avanzata del terrorismo islamico e tenere in piedi Bamako. Ne seguirono gli Accordi di pace di Algeri del 2015, che concedevano una certa autonomia ai tuareg nel nord e stabilivano una cornice per le negoziazioni future tra governo centrale e forze ribelli.
Nella pratica, gli accordi sono rimasti lettera morta, anche a causa del poco favore di cui godevano a Bamako. La giunta militare maliana di Assimi Goita (salito al potere con il golpe nel maggio 2021) li ha infine stracciati del tutto nel novembre dell’anno scorso. Con una vasta operazione militare ha ripreso la città di Kidal, bastione e punto strategico per i ribelli tuareg del nord.
Colpo di coda e di drone del CSP
Da allora, il CSP ha continuato ad assicurare di essere ancora capace di far fronte a Bamako. Una posizione a cui era difficile credere, data la facile avanzata di Goita nel nord. Tuttavia sono tornati a contrastare l’esercito maliano a fine luglio nella località di Tinzaouaten, al confine con l’Algeria. I loro attacchi con tanto di droni hanno causato la morte di almeno 84 mercenari russi di Africa Corps (l’ex-Wagner, assoldata da Bamako) e 47 soldati maliani. Per il Mali, è una delle più pesanti sconfitte militari degli ultimi tre anni.
Nella stessa città di frontiera, il CSP ha annunciato domenica scorsa la sua unione con il gruppo ribelle nigerino.
Il (quasi) nuovo arrivato: il FPL
Il secondo socio d’affari in questione è di nascita più recente. Anche se la sua incarnazione precedente risale a qualche anno addietro e rimanda alla ben più datata rete di potentati locali. Il FPL si è formato ufficialmente nell’agosto 2023, subito dopo il colpo di stato in Niger avvenuto il mese precedente. Di fatto è l’evoluzione del partito Unione delle forze patriottiche e rivoluzionarie (UFPR) fondato nel 2020. Entrambe sono la creazione di Mahmoud Sallah, un attivista politico di etnia toubou, proveniente dal nord del paese, l’area ricca di petrolio.
Tre le richieste principali della recente formazione: una redistribuzione più equa dei proventi delle risorse energetiche; il ritorno all’ordine costituzionale; e la liberazione di Mohamed Bazoum, l’ex capo di stato deposto dal recente colpo di stato, e messo agli arresti da allora.
Il FPL è andato agli onori della cronaca internazionale lo scorso 16 giugno, con un sabotaggio all’oleodotto che ha interrotto per un breve periodo il flusso di greggio dal Niger al Benin.
Infine, la sua sigla non è da confondere con il Fronte patriottico per la giustizia (FPJ). Con quest’ultimo ha in comune l’anno di nascita (2023), nonché i fini politici dichiarati (ritorno alla democrazia e redistribuzione delle ricchezze energetiche). Ma si è fatto notare soprattutto per il rapimento del 21 giugno passato, del prefetto di Bilma, nella regione di Agadez, e della sua delegazione.
Fini differenti?
Lo scetticismo riguardo la tenuta dell’alleanza tra CPS e FPL è legittimo. Se le due formazioni condividono una visione ostile alle giunte militari, sul piano strettamente operativo hanno obiettivi che non paiono convergere: in un caso, la ripresa del nord Mali; nell’altro, l’approfittare della manna petrolifera in Niger. In più, agiscono in due paesi diversi. Ma rimane il fatto che Mali e Niger sono confinanti e che le alleanze tanto claniche quanto d’interessi nel Sahel sono di default trans-frontaliere. Perciò i governi di Bamako e Niamey non possono affatto escludere né grattacapi né eventi ben più drammatici.