Si sta costruendo un edificio dalle fondamenta fragili e per tanti versi indefinite. Appare così il Mali alla vigilia del referendum costituzionale che si terrà domenica 18 giugno.
Stiamo parlando di un paese saheliano che dal 2013 deve confrontarsi con le milizie jihadiste e che deve anche dare risposte ai gruppi ribelli del nordest che ancora attendono sia attuato quanto previsto dell’Accordo di Algeri del 2015: decentramento del potere da sempre in mano al governo di Bamako e l’integrazione degli ex ribelli nelle file dell’esercito.
Indetto da un governo di transizione presieduto dal colonnello Assimi Goita, frutto di due colpi di stato militari (agosto 2020, che ha messo fuori gioco il presidente Ibrahim Boubacar Keita, e maggio 2021, un assestamento), il referendum vorrebbe lasciarsi alle spalle la Costituzione del 1992 e voltare pagina.
La nuova Costituzione prevede la creazione di un senato, di una Corte dei conti indipendente, come chiede da tempo l’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale, e di collettività territoriali decentrate.
Viene rafforzato il ruolo del presidente che sarebbe a capo anche del Consiglio superiore della magistratura e dunque garante dell’indipendenza giudiziaria, potrebbe sottomettere progetti di legge al parlamento e avrebbe anche il potere di scioglierlo.
A differenza della Costituzione in vigore da 31 anni, la nuova Legge fondamentale amplia le funzioni dell’esercito che dovrebbe partecipare «ad azioni di sviluppo economico, sociale, culturale e di protezione dell’ambiente».
Da rilevare che Goita e l’esercito stanno restringendo i margini d’intervento della Minusma la missione Onu in campo dal 2013 per aiutare la stabilizzazione. Inoltre dal 2022 il governo ha rotto i ponti con Parigi, che ha ritirato la sua forza militare, e “collabora” con Wagner, compagnia militare privata russa.
Non è prevedibile quanti cittadini si recheranno alle urne. Quello che invece è certo è che la campagna referendaria si è svolta principalmente attraverso i social media e che in ampie zone del territorio sarà complicato esercitare il voto per ragioni di sicurezza.
Il gruppi ribelli firmatari dell’accordo di Algeri hanno dichiarato di «non riconoscersi» nel progetto referendario perché non si fa carico della decentralizzazione.
Numerosi partiti e rappresentanti della società civile ribadiscono che un regime uscito da due colpi di stato non ha nessun mandato per proporre una nuova Costituzione. La fine della transizione è prevista per febbraio 2024. (RZ)