Dunque un’altra biografia sul simbolo della lotta nonviolenta contro il razzismo negli Stati Uniti e nel mondo. Prima che il lettore si chieda se era davvero necessaria, l’autore – docente di Scienza politica all’Università La Sapienza di Roma – precisa il suo intento: «Restituire a King una complessità e una radicalità vanificate da quella che ci appare una beatificazione “moderata”. Ci riferiamo a un’ampia produzione di film, documentari, fumetti, saggi che di King accreditano un’immagine addomesticata quanto innocua dal punto di vista politico (…). Ciò che ancora oggi affascina del personaggio è la sua complessità e la radicalità della sua etica politica. Radicalità non significa estremismo né rigidità intellettuale, ma coscienza di una radice forte – nel caso di King la fede cristiana visita nell’autocoscienza della condizione degli afroamericani – che almeno nei primi anni dei del civil rights movement trascinò milioni di americani neri e bianchi in un’azione diretta per testimoniare i valori della speranza, della giustizia e della convivenza multietnica».
Nel solco della tradizione puritana, King esprime una radicalità spirituale e teologica, prima che politica. Diceva il leader ucciso a Memphis (Tennessee) il 4 aprile 1968, chiamando alla disobbedienza civile: “Una legge ingiusta è un legge umana non radicata nella legge eterna naturale… Ogni legge che degrada la persona umana è ingiusta. (…) Io posso invitare gli uomini a disobbedire alle leggi della segregazione perché sono moralmente ingiuste”.