Questo articolo è uscito nella sezione “Africa 54” della rivista Nigrizia di maggio 2023.
La Mauritania va alle urne per le elezioni legislative, regionali e comunali il 13 maggio. Non è una scadenza banale per un paese che ha conosciuto fino a una quindicina d’anni fa colpi di stato a ripetizione, tanto più che il contesto in cui si svolge è molto particolare.
Prima che la campagna elettorale si accendesse, non ci sono stati solo i lunghi e spesso nascosti posizionamenti dei candidati e dei partiti, ma anche e soprattutto, da fine gennaio, l’apertura del processo all’ex presidente Mohamed Ould Abdel Aziz che ha catalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica. Il giudizio, oltre alla persona e ai suoi coimputati, coinvolge un modo di esercitare il potere non solo del decennio sotto inchiesta, ma del sistema che dall’indipendenza regge il paese.
La scadenza elettorale è il frutto di un accordo voluto dal presidente Mohamed Ould Ghazouani, eletto nel giugno 2019 e il cui mandato scade il prossimo anno, con i partiti che hanno accettato l’idea di anticipare le elezioni per evitare la stagione delle piogge. Per questo l’Assemblea nazionale è stata sciolta anticipatamente il 13 marzo.
Per il parlamento, diventato monocamerale dopo l’abolizione del senato con il referendum del 2017, sono in lizza 176 seggi, 12 in più rispetto alle elezioni del 2018, per l’aumento del numero dei dipartimenti. Il sistema elettorale è alquanto complesso, poiché contempla due sistemi differenti a seconda del numero di seggi: nelle circoscrizioni dove sono disponibili solo 1 o 2 seggi è previsto, infatti, un secondo turno per il 27 maggio.
Inoltre, la legge elettorale riserva delle quote: 20 seggi alle donne, 11 ai giovani e 20 a liste aperte a tutti. In ogni caso le liste, a parte quelle riservate alle donne, devono alternare uomini e donne, mentre quelle per i giovani ne devono prevedere almeno due con disabilità.
Chi domina la scena politica
Il quadro politico è dominato da una quindicina d’anni dall’Unione per la repubblica, il partito creato dall’ex presidente Abdel Aziz, cui Ghazouani ha sottratto il controllo per poi ribattezzarlo in Partito dell’equità El Insaf. Il partito ha ottenuto anche nelle precedenti elezioni del 2018 la maggioranza assoluta dei seggi (103 su 157), e ha formato una coalizione di governo con l’Unione per la democrazia e il progresso (Udp), con l’appoggio esterno di forze politiche minori, di ispirazione di centrodestra e con movimenti senza rappresentanza parlamentare (in tutto 14 formazioni politiche), che costituiscono la cosiddetta maggioranza presidenziale.
In vista del voto, El Insaf, attraverso il ministro dell’interno, ha fatto pressioni affinché questi partiti, soprattutto a livello regionale dove El Insaf governa tutte le 13 regioni, desistessero a favore del partito del presidente. La strategia è evidente: dare una chiara maggioranza parlamentare al presidente Ghazouani in vista delle presidenziali del prossimo anno, alle quali verosimilmente si ripresenterà.
A facilitargli il compito le opposizioni, che si presentano, come d’abitudine, in ordine sparso. Il partito fondamentalista islamico Tewassoul, risultato secondo nelle elezioni del 2018, si presenta alleato con una formazione minore. Lo storico movimento antischiavista Rag (Rifondazione dell’azione globale) di Biram Dah Abeid – più volte incarcerato e giunto secondo alle presidenziali del 2019 – si presenta in coalizione con il partito baatista Sawab.
Una panoramica della frammentazione l’offrono anche le elezioni regionali e comunali, per le quali si presentano 25 coalizioni di partiti con 145 liste per i 13 consigli regionali e 1.324 liste per i 238 comuni. Solo El Insaf si candida in tutte le circoscrizioni regionali e comunali, seguito da Tewassoul e Sawab-Rag e a decrescere le altre coalizioni. In queste condizioni gli esiti sembrano scontati, al di là delle affermazioni personali.
Legami etnici e di parentela
Il sistema politico, al pari di quello sociale, è fortemente marcato dai legami etnici e di parentela, che con il gioco delle alleanze perpetua un sistema di “caste” politiche, al pari di quelle sociali, che lo rende impermeabile a un vero rinnovamento. A questo proposito non deve ingannare il fenomeno, ancora più accentuato che altrove in Africa, del continuo ricambio di governo e dei ministri, che non rappresenta una vera instabilità, ma che mette alla luce del sole il rimodellarsi degli equilibri.
Così a fine marzo, in vista del voto, Ghazouani ha per la terza volta nominato un nuovo governo puntando a presentarsi sotto i migliori auspici sulla scena politica, tanto più che le critiche cominciavano a esprimersi in seno alla sua stessa maggioranza. Il presidente ha voluto sottolineare le mancanze soprattutto nell’accesso alle cure sanitarie, all’elettricità e all’acqua potabile in un paese colpito dalla siccità, ma al tempo stesso da stagioni delle piogge particolarmente disastrose.
La classica divisione sociale
Malgrado la modernizzazione economica degli ultimi decenni, la società rimane caratterizzata dalla tradizionale divisione tra i mauri, bianchi di origine arabo-berbera che monopolizzano il potere, e i nero-africani. Questa spaccatura nutre il razzismo diffuso e mantiene nei fatti la schiavitù. Sul piano legale questa è stata progressivamente abolita, ma il paese risulta al sesto posto nell’Indice globale della schiavitù, con una percentuale del 2,14% su 4,8 milioni di abitanti.
Tomoya Obokata, relatore speciale sulle forme contemporanee di schiavitù delle Nazioni Unite, al termine della sua missione in Mauritania nel maggio 2022, ha affermato: «Le persone schiavizzate, in particolare donne e bambini, sono soggette a violenze e abusi, inclusa la violenza sessuale, e sono trattate come proprietà. Anche la schiavitù basata sulle caste è un problema, con persone appartenenti a caste inferiori che rifiutano il loro status di schiavi e che affrontano rappresaglie violente e la negazione dell’accesso ai servizi di base da parte delle caste dominanti».
Sul piano economico, il paese ha superato la crisi del Covid-19 con una crescita del 5,2% nel 2022. Ma sono proprio le disuguaglianze a frenare lo sviluppo: oltre al sistema delle caste c’è la disparità uomo-donna. In Mauritania un terzo delle giovani si sposa prima dei 18 anni e un quarto ha un figlio prima della maggiore età. Ciò incide sulla loro educazione e in seguito sulla possibilità di lavoro, senza contare la disparità salariale che continua a essere mantenuta.
Il gas e il rilancio economico
Le prospettive economiche si presentano interessanti dopo la scoperta di importanti giacimenti di gas al largo delle coste atlantiche alla frontiera marittima con il Senegal. Il gas dovrebbe sostituire, a breve, ferro e oro nel valore delle esportazioni. La piattaforma comune mauritano-senegalese dovrebbe essere operativa entro quest’anno e le prime esportazioni di gas sono previste per il 2024. Questo fatto lancia Senegal e Mauritania nel gran gioco mondiale dell’energia dopo lo scoppio della guerra in Ucraìna e la ricerca da parte dei paesi europei di nuovi partner per sottrarsi alla dipendenza dal gas russo.
Per la sua consistenza, il giacimento fa del Senegal e della Mauritania componenti essenziali del progetto di gasdotto che dovrebbe unire, al largo della costa atlantica, la Nigeria al Marocco, attraverso undici paesi. La Nigeria è il terzo produttore africano dopo Algeria ed Egitto, mentre il Marocco è un terminale ideale verso l’Europa, soprattutto dopo che l’Algeria ha interrotto il gasdotto verso la Spagna attraverso il Marocco.
Attorno a questo progetto, ancora in fase di studio, si è ingaggiata la battaglia con l’alternativa di un gasdotto terrestre dalla Nigeria all’Algeria, attraverso il Niger. La Mauritania, finora marginale sullo scacchiere africano a parte la lotta contro il terrorismo jihadista, si proietta così sulla scena internazionale portando con sé tutte le contraddizioni di una società segmentata e disuguale.