Ci sono anche numerosi studenti africani dell’Università americana di Beirut (AUB) fra le persone rimaste bloccate in Libano mentre il conflitto fra Israele e Hezbollah va incontro a una rapida escalation. Tel Aviv ha avviato nei giorni scorsi intensi bombardamenti nel sud del paese e fino alla capitale mentre ieri sono partiti i primi attacchi via terra, probabile prodromo di una prossima invasione su più ampia scala. A riferire le testimonianze degli studenti originari del continente africano è stata l’emittente BBC.
L’ateneo americano di Beirut è ritenuto prestigioso: l’istituto si è classificato al 250esimo posto tra 1.503 università nel mondo secondo il QS World university ranking di 2025. Gli studenti africani ascoltati da BBC hanno potuto accedervi grazie a un programma di borse di studio loro dedicato dalla Mastercard Foundation.
Colpiti dall’impatto psicologico dei bombardamenti israeliani sulla periferia meridionale di Beirut e spaventati dai boati sonici degli aerei che volano a bassa quota sulla città, decine di studenti borsisti africani presso AUB si trovano ad affrontare un dilemma.
Per alcuni, come Sharon Atyang, studentessa ugandese, la situazione è particolarmente difficile: i problemi legati all’elettricità e alla connessione internet le impediscono di tornare a casa e seguire i corsi da remoto. Per altri, come la studentessa di radiologia camerunese Adele Pascaline, il completamento del corso prevede la presenza sul campo; i programmi richiedono infatti attività sperimentali e tirocini.
Tuttavia, il problema non è solo decidere se partire o meno; lasciare Beirut tramite il suo aeroporto internazionale è complicato anche per via delle difficoltà nell’acquisto dei biglietti. Diverse compagnie aeree, come Emirates, Qatar Airways, Air France e Lufthansa, hanno sospeso i voli da e per la capitale.
Lasciate senza riparo
In Libano, oltre 300,000 persone sono stati costrette a fuggire verso la Siria e altre zone del paese tradizionalmente fuori dal controllo di Hezbollah, secondo i dati dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). E non si tratta solo di cittadini libanesi.
Megaphone, una piattaforma libanese specializzata nella produzione di contenuti multimediali, ha pubblicato testimonianze che evidenziano la difficile situazione dei lavoratori domestici africani sfollati. Diverse lavoratrici sono state abbandonate dai loro datori di lavoro, che sono fuggiti. I centri di accoglienza dedicati agli sfollati si sono in molti casi rifiutati di accoglierle.
Il sistema kafala impedisce la liberta di ritorno
Il sistema detto della kafala è un meccanismo previsto dagli ordinamenti di diversi paesi arabi del Medio oriente. Libano compreso, che in teoria dovrebbe regolare i rapporti fra i datori di lavoro e i dipendenti stranieri. La misura è fortemente criticata da organizzazioni in difesa dei diritti umani regionali e internazionali, soprattutto perchè prevede delle condizioni di lavoro e permanenza nei vari paesi che sono di fatto assimilabili a quelle della schiavitù.
Molti dei lavoratori che rientrano sotto questo sistema sono donne occupate nel settore domestico che provengono dall’Africa e dall’Asia sudorientale. In base al meccanismo, per poter uscire dal paese devono ottenere un visto di uscita, ovvero una documentazione che deve essere prima approvata dai loro datori di lavoro.
Lo scorso agosto, un reportage della BBC aveva messo in luce la difficile situazione di molti cittadini e cittadine kenyani ed etiopici che desiderano tornare a casa ma che non possono a causa delle restrizioni sul rilascio dei visti di partenza e dei costi elevati dei biglietti aerei verso il continente africano. Tutti ostacoli significativi per persone i cui stipendi non superano in media i 150 dollari al mese, a differenza di molti degli studenti borsisti, che quantomeno ricevono le risorse necessarie per comprare un biglietto di ritorno a casa una volta all’anno.
Il Kenya ha iniziato a evacuare i suoi cittadini
Nonostante la presenza di circa 150mila etiopici in Libano, la maggior parte dei quali sono lavoratori domestici, il governo di Addis Abeba si è mosso più lentamente di altri paesi africani che possono contare su una minore popolazione migrante, come il Kenya. Nairobi ha avviato le registrazioni per le operazioni di evacuazione per circa 26mila cittadini residenti in Libano, con una scadenza fissata al 12 ottobre.
Se combattono, ottengono uno status legale permanente
I problemi non riguardano solo i migranti e i rifugiati africani che vivono in Libano. Cittadini provenienti dal continente sono stati coinvolti nel conflitto in corso dallo scorso 7 ottobre anche da Israele, che li ha strumentalizzati sfruttandone la vulnerabilità.
Secondo quanto riportato da quotidiano israeliano Haaretz, il governo del premier Benjamin Netanyahu ha avviato un programma rivolto ai richiedenti asilo, offrendo loro la possibilità di ottenere la residenza permanente in cambio dell’arruolamento nelle Forze di difesa israeliane (IDF) per combattere a Gaza.
Attualmente, ci sono circa 25mila richiedenti d’asilo africani in Israele, tra cui circa 18mila eritrei e più di 3mila sudanesi. Tuttavia, come riportato dallo stesso quotidiano, nessun richiedente asilo che ha partecipato al conflitto ha ricevuto uno status ufficiale fino ad oggi. Per affrontare la carenza di soldati israeliani, la Corte suprema di Israele ha stabilito a giugno che gli ebrei ultraortodossi, in passato esentati dalla coscrizione, saranno ora obbligati a prestare servizio militare.