Secondo il rapporto mondiale sulle migrazioni dell’OIM, Organizzazione internazionale per le migrazioni, la prima fotografia di un fenomeno è data dai numeri, per questo come primo dato esplicita che sono 281 milioni le persone migranti internazionali in tutto il mondo, una cifra che equivale al 3,60% della popolazione terrestre.
Un totale in continua crescita, un numero che nel 2020 ammontava di 128 milioni di persone in più rispetto a quelle del 1990.
Ma il vero numero su cui si incentra il report diffuso il 7 maggio è quello delle rimesse, il denaro che le persone migranti inviano ai propri paesi di origine. Le rimesse, scrive OIM, valgono più degli investimenti diretti dai paesi ricchi in quelli di provenienza, quelli che per comodità occidentale si continua a definire “in via di sviluppo”.
Secondo quanto riportato, negli ultimi 20 anni, e cioè nel lasso di tempo che separa il 2000 dal 2022, le rimesse internazionali sono aumentate del 650%, passando da 128 a 831 miliardi di dollari. E la cosa più importante che OIM mette in risalto è data dal fatto che 647 miliardi sono inviati dalle persone migranti verso paesi a basso e medio reddito, diventando per questi stati un importante voce del Pil nazionale.
Una cifra che, a livello globale, fa sì che le rimesse superino di gran lunga gli investimenti fatti dai cosiddetti “paesi ricchi” verso quelli svantaggiati, o forse sarebbe meglio dire impoveriti.
Stando a questi dati, il report sottolinea come la migrazione internazionale è il vero motore di sviluppo umano e di crescita economica. Ai 281 milioni di persone migranti internazionali, aggiunge 117 milioni di persone che fuggono da conflitti, disastri e altri motivi. Cifre che fanno toccare i numeri più alti di sempre.
Per sottolineare la vastità di questo fenomeno in continua crescita, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni ha voluto presentare il dossier in Bangladesh, un paese che vive in prima linea la sfida migratoria di questo pezzo di secolo.
Una migrazione che fa notizia solo quando è irregolare ma che è caratterizzata nella maggior parte dei casi da gente che si sposta in maniera sicura, a livello spesso continentale o intercontinentale. Una dimensione spesso persa nel dibattito pubblico, incentrato a politicizzare la libertà di movimento, raccontandola come invasione e colorandola di narrative sensazionalistiche.