Stando ai numeri che ogni giorno riempiono le cronache e le agenzie di stampa, il mar Mediterraneo potrebbe sembrare un luogo di guerra. Dove muoiono in tanti, troppi. Dove molti scappano, rischiando la vita.
Dove chi è intercettato in mare, viene speronato, riportato indietro, rinchiuso in carcere, tra torture e supplizi, tra ricatti e violenze sessuali. Potrebbe essere o forse per davvero lo è. Di certo tra l’essere e il sembrare, tra il reale e il percepito, occorre sempre analizzare i numeri per capire.
Con questo intento, Matteo Villa scrive il Fact checking annuale sulle migrazioni, pubblicato dall’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale). Per raccontare questo mar Mediterraneo, in cui gli sbarchi sono quintuplicati negli ultimi due anni, dove si muore a poche miglia dall’Italia e dove tante domande hanno bisogno di risposte che si rifacciano al reale, non al percepito.
Per cui, se la domanda è “c’è un’emergenza sbarchi?”. La risposta è: dipende. Dipende da quale lettura si vuole dare ai numeri, che certo quest’anno sono più alti, rispetto a quelli di metà 2019, quando erano circa 11mila le persone sbarcate.
Negli ultimi 12 mesi sono stati circa 45mila gli arrivi via mare (22.365 quelli avvenuti da inizio anno e diffusi il 7 luglio dal Viminale). Ma è un numero che si è stabilizzato sui 50mila l’anno ed è comunque ancora molto lontano dai dati del 2014/2017, quando a sbarcare erano tra le 110 e 180mila persone l’anno.
Tant’è vero che il sistema accoglienza non è in sofferenza, come spesso si racconta. Ad aprile di quest’anno erano 76.061 le persone nei Centri, nel 2017 erano oltre 191mila. Numeri molto distanti tra loro, che segnano una differenza del 60% in meno. Solo a fine maggio si è registrato un aumento del numero dei presenti, per la prima volta dopo quattro anni.
Quel che non cambia è la modalità dell’accoglienza nel nostro paese. Oggi, circa 2 migranti su 3 sono nei Cas (Centri di accoglienza straordinaria), maxi-strutture pensate per grandi numeri che continuano a funzionare nonostante questi grandi numeri non vi siano. A scapito di un altro sistema, quello dell’accoglienza diffusa, di cui ci sarebbe maggior bisogno.
Quello che, dal 2002, si chiamava Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) poi nel 2018 è diventato Siproimi (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati) e dal 2020 Sai (Sistema di accoglienza e integrazione). Ma, cambiando l’ordine dei nomi, il risultato non cambia: è sempre un sistema che langue, in cui vi sono 25mila persone delle oltre 76mila presenti.
Tra ong e redistribuzioni
E le famose redistribuzioni dei migranti tra i paesi europei? Lettera morta. Il nuovo Patto su migrazioni e asilo stenta a decollare. Il vertice del 24/25 giugno è stato un buco nell’acqua, da cui non è arrivata alcuna sintesi rispetto alla riattivazione di quel che nel 2019 fu l’Accordo di Malta, che per altro fu un flop. Su circa 53mila migranti sbarcati tra ottobre 2019/maggio 2021, solo poco più del 2% fu ripartito tra i membri Ue: 990 persone.
Perché, in questo caso, entra in gioco un altro discorso, quello su come avvengono gli sbarchi. L’intesa maltese prevedeva infatti il ricollocamento dei soli migranti soccorsi in mare. Un numero irrisorio: meno di 8mila persone, il 15% del totale degli arrivi. Il che, nella migliore delle ipotesi, farebbe salire quel 2% a 13. E 9 migranti su 10 continuerebbero a restare in territorio italiano.
Perché, con buona pace del percepito, che vorrebbe che a salvare i migranti siano per lo più le navi delle ong, da sempre raccontate come “pull factor” (fattore di attrazione per le partenze), i dati messi insieme da Matteo Villa dimostrano che, sia in tempi della “gestione Salvini” – in cui in media si avevano circa 100 sbarchi al mese –, che in quelli della “gestione Lamorgese” – in cui i numeri degli sbarchi sono per altro quasi triplicati, circa 2.600 al mese –, i salvataggi effettuati dalle ong giocano un ruolo marginale. Con Salvini, l’88% degli sbarchi avvenivano in maniera autonoma o soccorsi da altre realtà, non ong; con Lamorgese il numero scende di poco, all’86%.
Ciò che rimane uguale sono gli accordi con la Libia, nonostante le condizioni disumane denunciate dalle varie organizzazioni umanitarie e dai report di chi opera nel paese africano. In Libia, racconta il Fact checking, il numero delle persone detenute nei centri ufficiali è tornato a crescere: se nella seconda metà del 2019 si era avuto un arresto (da oltre 6mila si era scesi a circa mille presenze), oggi ha superato le 5mila persone, almeno stando alle cifre ufficiali.
Alle quali però occorre aggiungere migliaia di migranti trattenuti in centri non governativi, luoghi ufficiosi ma altrettanto reali. Per avere certezza che le cifre dei detenuti nei campi sono molto più alte, è sufficiente rifarsi a un altro dato, quello diffuso da Oim Libia, che riporta i respingimenti avvenuti da inizio anno: 15.700 persone. 949 nella sola settimana dal 27 giugno al 3 luglio.
Nessuna invasione
Ma, alla fine, quanti sono gli stranieri in Italia? Quanti coloro che rimangono? Villa sottolinea come, se lo sguardo continua a rimanere fisso sugli sbarchi e sui 700mila arrivi in Italia tra il 2014 e il 2021, si potrebbe credere che il numero sia aumentato considerevolmente.
In realtà, è proprio a partire dal 2014 che la presenza straniera regolare nel nostro Paese è praticamente stabile. C’è stata una crescita di appena il 2%, si è passati da 4,92 milioni di persone a 5,04. Se poi a questo numero si aggiunge quello dei migranti irregolari, il dato sale al 6%, passando da 5,27 milioni a 5,56.
Negli anni infatti, 900mila stranieri hanno conseguito la cittadinanza italiana (4 persone su 10 sono nate in Italia) e 320mila dei regolari hanno deciso di lasciare il nostro Paese per trasferirsi altrove. D’altra parte, il report mette in evidenza come sia sempre più difficile ottenere un permesso di soggiorno o arrivare in Europa attraverso canali regolari. E come, con il cosiddetto Decreto sicurezza del 2018 che ha cancellato la protezione umanitaria, si è ulteriormente ristretta la maglia della regolarizzazione.
Nel periodo 2015/17 i permessi per protezione umanitaria sono crollati dal 28% all’1%, così come sono aumentati i dinieghi per la protezione internazionale: prima del 2018 concessa a circa 4 richiedenti su 10 (il 42% dei facenti richiesta nel 2017), nel 2019 a 2 su 10 (21%). E a poco è servito il Decreto immigrazione del secondo governo Conte, con cui le ex-umanitarie sono passate dall’1% al 9, un dato ancora lontano dal 28% pre-Salvini.
E se è difficile ottenere un permesso per restare, lo è ancora di più arrivare in maniera regolare. Nell’ultimo decennio i canali regolari si sono ulteriormente circoscritti. Se si escludono le quote annuali stabilite dal Decreto flussi e quelle riservate ai lavoratori stagionali necessari per il comparto agroalimentare, non vi è altra strada per raggiungere l’Italia. Se non attraversando senza documenti le frontiere terresti o il mare. Quella del Mediterraneo è di certo la rotta più pericolosa. Da inizio anno, secondo gli ultimi dati diffusi dall’Onu, sarebbero morte 886 persone. Stime, che si sa, sono a ribasso.