L’emergenza, per il governo italiano, non sono le 576 vittime del mare, l’85% delle quali morte nel Mediterraneo centrale, mentre si dirigevano verso l’Italia. Non sono le persone che si trovano senza servizi igienici adeguati, senza scarpe o pannolini ammassate a Lampedusa, né le situazioni carcerarie più volte denunciate che si vivono nei Cpr e che hanno portato alle proteste e alla chiusura (per la prima volta in 25 anni) del centro di Torino. L’emergenza sono gli sbarchi. Le 31.200 persone arrivate via mare da inizio anno.
Numeri che sono ancor ben lontani dagli anni record in cui non fu presa questa decisione (se non nel 2011 dal governo Berlusconi), ma che fanno dichiarare lo stato d’emergenza su tutto il territorio nazionale per sei mesi. Con uno stanziamento finanziario di cinque milioni di euro per far fronte all’“eccezionalità” d’arrivi.
Lo stato d’emergenza, previsto dal codice di Protezione civile e deliberato dal Consiglio dei ministri, permette non solo la possibilità di stanziare fondi ad hoc, ma anche, per il governo, di emanare ordinanze straordinarie, derogando alle norme che sono in vigore in situazioni di normalità.
Negli ultimi anni è stato dichiarato 128 volte e per lo più in concomitanza di eventi emergenziali dovuti a stati di calamità naturali. L’eccezione la si era vista con il Covid o l’arrivo dei profughi ucraìni, eccezionalità prorogata fino al 23 dicembre 2023.
La giustificazione governativa, ieri, è stata quella di poter assicurare risposte più veloci sul piano della gestione dei migranti e della loro distribuzione lungo lo stivale. O, visto quanto deciso nell’incontro sulle tempistiche sulle risposte alle domande di protezione (più celeri) e su quelle legate al detenzione nei Centri per il rimpatrio (più lunghe: dai 60 ai180 giorni), sui dinieghi e i respingimenti attraverso espulsioni più snelle. Una preoccupazione espressa in maniera palese da monsignor Giancarlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes, organo della Cei.
Intanto già si mormora della nomina di un commissario straordinario che gestisca l’emergenza, il prefetto Valerio Valenti, l’attuale capo del dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Viminale. E si torna in aula per gli emendamenti al decreto post Cutro, quello con cui si vuole restringere la protezione speciale con regole più rigide; con cui si vuole chiedere un Cpr per regione e i vari step più spediti per i provvedimenti di accompagnamento alle frontiere.