Davvero le persone migranti e richiedenti asilo sono un peso per le casse dello stato? Secondo quanto scoperto dall’Università di Leida, nei Paesi Bassi, risulta di no. Un esito che potrebbe sorprendere una certa parte della classe politica italiana, ora privata di uno dei suoi principali cavalli di battaglia. Eppure i dati empirici lo dimostrano: dietro al populismo, che vedrebbe nei migranti la principale causa di declino economico e culturale dello Stato, c’è poca sostanza.
L’indagine è stata fatta prendendo a campione 15 paesi europei, ovvero Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lituania, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svezia.
In un intervallo di tempo che va dal 2007 al 2018, gli economisti hanno calcolato il contributo netto dei cittadini membri e quello delle persone migranti, con un percorso migratorio sia intra che extra-europeo. Attualmente rappresentano circa il 12,4% dell’intera popolazione, con 55 milioni di persone straniere residenti nei paesi dell’Unione nel 2020.
Dalla ricerca è emerso che in molti stati, tra cui l’Italia, non solo non sono un fardello per le casse dello stato, ma che anzi pesano meno degli stessi cittadini membri. Nell’analisi, dalle tasse e dai contributi versati, sono stati detratti tutti i diversi benefici e indennità statali, come disoccupazione, pensione e indennità di alloggio, etc. Eppure, pur tenendo conto di questi fattori, si è visto che, in percentuale, hanno peso minore per quanto riguarda l’erario e la sicurezza sociale.
Il quadro cambia man mano che ci si sposta nei paesi del Nord Europa, dove aumentano le misure di welfare e quindi anche i costi per lo stato. Ma in paesi come l’Italia, il Belgio, la Grecia, Portogallo, Lussemburgo, il contributo netto delle persone migranti è addirittura in positivo. Negli anni inoltre, il divario con i nativi è andato crescendo, con prestazioni fiscali sempre più in negativo per questi ultimi. Durante gli anni della crisi finanziaria è stato registrato un tracollo generale, da ambo le parti. Ripristinata però la situazione economica, si è notato che mentre i migranti sono tornati ai livelli pre-crisi, i nativi, la popolazione autoctona è rimasta indietro.
Un altro dato interessante riguarda il tipo di migrazioni presa in esame: nella letteratura precedente, veniva fatta una distinzione tra migranti volontari e richiedenti asilo o rifugiati. Si pensava che questo secondo gruppo di persone contribuisse in misura nettamente minore, se non nulla, rispetto ai primi. Questo studio invece ha dimostrato che non è così. A fare la differenza è soprattutto il grado di istruzione e la possibilità di svolgere attività lavorative.
A incidere, tra i diversi fattori, anche l’età: le persone di origine straniera che risiedono nei paesi Ue sono in gran parte molto giovani e in età lavorativa. Al contrario, i cittadini membri hanno un’età media sempre più alta e cresce vertiginosamente la percentuale di pensionati.
Sono tutti dati che dovrebbero far riflettere sul valore, nel senso più ampio e sfaccettato del termine, dell’integrazione. L’idea che chi viene nel nostro paese sia una “risorsa”, parola a lungo derisa e bistrattata, trova sempre più concretezza man mano che si conducono studi in materia.