Perché far aspettare miliardi di tifosi quattro anni per un Mondiale di calcio quando invece se ne potrebbero organizzare due nello stesso lasso di tempo? A lanciare la proposta è stato lo scorso maggio, nel corso del 71° Congresso della Fifa tenutosi a Zurigo, il presidente della Federazione internazionale di calcio Gianni Infantino. «Non devi essere Einstein per capire che se organizzi una Coppa del Mondo ogni due anni raddoppierai le tue entrate», aveva dichiarato nell’occasione Infantino.
La proposta è stata lanciata dalla federazione calcistica saudita con l’obiettivo di far girare ancora più i soldi in uno sport, il calcio, in cui le petromonarchie del Golfo Persico stanno facendo sentire sempre di più il loro peso a livello globale (vedi le proprietà di Manchester City e Psg e i Mondiali in Qatar del 2022) nonostante l’obiettiva mediocrità delle loro nazionali. E, soprattutto, ha ottenuto l’endorsement di Arsène Wenger, storico allenatore dell’Arsenal oggi responsabile dello sviluppo mondiale della Fifa. Per il momento la Fifa ha ottenuto l’avvio di uno studio di fattibilità del progetto, votato a larga maggioranza dai membri del Congresso della Fifa.
Proposta divisa
Come era prevedibile, la prospettiva di un Mondiale ogni due anni ha spaccato letteralmente a metà il mondo del calcio. La consultazione attivata dalla Fifa lo scorso 30 settembre per sapere cosa ne pensano le federazioni continentali lo ha dimostrato. Uefa (Europa) e Conmebol (Sudamerica) si sono dichiarate contrarie. Mentre Afc (Asia) e Concacaf (Nordamerica, Centramerica e Caraibi) si sono dichiarate favorevoli. Dunque, da una parte Europa e Sudamerica puntano a difendere la tradizione, forti di un palmares che dal primo fischio della manifestazione, nel lontano 1930, è sempre stato affare loro.
Dall’altra l’opzione di un Mondiale ogni due anni ingolosisce soprattutto quei paesi con rappresentative che da sempre fanno fatica ad avanzare nella competizione o, addirittura, ad accedere alle fasi finali. E tra questi paesi ci sono anche quelli africani, che già da tempo premevano per un allargamento dei partecipanti alle fasi finali dalle attuali 32 a 48 squadre.
L’edizione del 2026 si terrà con questo nuovo format e l’Africa si vedrà assegnare 9 posti rispetto ai 5 di oggi. Ma sul medio termine l’obiettivo dei paesi più “deboli” sul piano calcistico è far dimezzare i tempi in cui si svolgono i Mondiali. In questo modo le nazionali africane, in particolare quelle nordafricane, sarebbero quasi certe di qualificarsi a ogni edizione.
I favorevoli
Fouzi Lekjaa, presidente della Federcalcio reale marocchina dal 2014, membro del Consiglio Fifa dal 2021, dall’ottobre scorso nominato ministro delegato al budget e notoriamente vicino a Infantino, si è già espresso a favore della proposta che «consentirebbe ai giocatori africani più talentuosi di brillare» e renderebbe la «Coppa del Mondo una competizione più inclusiva e più democratica, offrendo alle nazioni meno sviluppate l’opportunità di partecipare», come riportato da Jeune Afrique.
Stessa posizione è stata espressa dalle federazioni di Algeria, Senegal, Sudafrica e Benin. Paese, quest’ultimo, che non si è mai qualificato alle fasi finali. La sintesi migliore l’ha formulata l’ex nazionale algerino Rabah Madjer, che ha partecipato alle edizioni del 1982 e del 1986. «Da giocatore mi sarebbe piaciuto avere l’opportunità di giocare il Mondiale ogni due anni», ha commentato sempre a Jeune Afrique. «Non credo che ciò banalizzerebbe l’evento. D’altra parte, mi chiedo come si possa inserire una competizione del genere, e i suoi gironi di qualificazione, in un calendario già così fitto».
Gli investimenti
C’è poi da considerare anche un altro tema, altrettanto centrale, ovvero quello della costruzione di nuove infrastrutture e della manutenzione di quelle esistenti. Con il passaggio dei Mondiali da quattro a due anni ci sarebbero maggiori chance per i paesi africani di ospitare in futuro la manifestazione e, più in generale, di tenere più in attività i propri stadi considerato che ci sarebbe un raddoppio delle partite di qualificazione alle fasi finali. Quanto accaduto in Sudafrica, i cui impianti stanno lentamente cadendo a pezzi dopo le centinaia di milioni di dollari investiti dal governo per ospitare l’edizione del 2010 sono un allarme per tutto il continente.
La palla torna ora alla Fifa che entro la fine dell’anno dovrà avere quantomeno un quadro di quelle che sono le reali intenzioni delle varie confederazioni. Di una cosa c’è da stare certi. Fino a qualche anno fa il calcio sembrava essere uno sport fedele alle proprie origini. Poi sono arrivati gli sceicchi, gli oligarchi e i miliardari americani e asiatici. E in poco tempo stanno cambiando le regole di questo gioco.