La Coppa del Mondo 2022 è già la miglior edizione di sempre per le nazionali africane, che hanno chiuso la fase a gironi battendo o eguagliando diversi record collettivi e individuali. Insieme hanno raccolto complessivamente ventiquattro punti, superando il precedente primato di quindici ottenuto nel 1998.
Tutte hanno vinto almeno una partita e messo insieme sette successi, aggirando lo scoglio delle tre vittorie contro cui hanno sbattuto per ventiquattro anni. Tutte si sono giocate la qualificazione fino all’ultimo minuto, ma in particolare ben due nazionali hanno raggiunto gli ottavi di finale, un’impresa per un continente che solo nel 2014 aveva portato più di una rappresentante oltre la prima fase.
Come si può dedurre da questo trionfo collettivo, anche individualmente le selezioni africane hanno mostrato evidenti segnali di crescita. Dopo la falsa partenza nella gara d’esordio contro i Paesi Bassi, i campioni d’Africa del Senegal si sono assicurati il passaggio del turno battendo i padroni di casa del Qatar e l’Ecuador.
Così facendo hanno superato il bottino di cinque punti conquistato nella prima sorprendente partecipazione del 2002, quando sconfissero la Francia e pareggiarono con Danimarca e Uruguay. La vittoria decisiva contro l’Ecuador è arrivata grazie ai gol di due colonne portanti della squadra: Ismaïla Sarr e Kalidou Koulibaly.
Il primo, nato in Senegal e cresciuto nell’accademia della Génération Foot, è uno dei punti di riferimento dei talenti locali; il secondo, nato e cresciuto in Francia, è il rappresentante della diaspora europea. Il ct Aliou Cissé, che lasciò il Senegal per la Francia all’età di nove anni, ha saputo amalgamare saggiamente queste due anime, in passato spesso contrastanti.
Pur privi di Sadio Mané, i Leoni della Teranga hanno mostrato solidità e compattezza, aggiungendo un ulteriore mattoncino al processo di maturazione avviato nel 2015. A dire il vero, per alcuni dei calciatori nel giro della nazionale, tra cui Cheikhou Kouyaté, Idrissa Gana Gueye e il sopracitato Mané, il percorso iniziò alle Olimpiadi del 2012, quando Cissé era assistente del compianto Joseph Koto.
Walid Regragui, il ct del Marocco, non conosce i suoi giocatori da così tanto tempo, visto che è stato ingaggiato ad agosto, ma in poco più di tre mesi ha riportato ai Leoni dell’Atlante l’entusiasmo perduto durante la gestione del bosniaco Vahid Halilhodžić. In particolare, ha convinto la stella del Chelsea Hakim Ziyech a riabbracciare la nazionale. Lo ha coccolato e incensato e Ziyech lo ha ripagato trasformandosi nuovamente in una pedina fondamentale dello scacchiere marocchino.
Attraverso un calcio difensivamente accorto, che gli ha permesso di subire una sola rete, e offensivamente a tratti spumeggiante, il Marocco si è guadagnato la prima posizione in un girone che comprendeva la Croazia vicecampione del mondo, il Belgio terzo classificato dell’ultima edizione e il Canada. Con sette punti i maghrebini hanno scavalcato la Nigeria del 1998 e stabilito la miglior prestazione di una nazionale africana in una fase a gironi dei Mondiali.
Il merito è da ascrivere anche all’ottimo lavoro svolto nell’ultimo decennio dalla federazione e in generale dall’intero movimento calcistico marocchino. Nel 2009 venne fondata l’Accademia Mohamed VI, da cui provengono quattro dei ventisei calciatori presenti in Qatar; tre di loro, l’attaccante Youssef En-Nesyri, il centrocampista Azzedine Ounahi e il difensore Nayef Aguerd, fanno parte della formazione titolare.
Altrettanto importante è stata la creazione, nel 2014, di una rete di osservatori dislocata nei principali paesi europei in cui vive la numerosa diaspora marocchina. Questo ha consentito di unire i migliori talenti emersi all’interno e al di fuori dei confini nazionali.
Anche la Tunisia ha disputato un’ottima Coppa del Mondo. Le Aquile di Cartagine hanno eguagliato la prima grande partecipazione del 1978, in cui ottennero la prima vittoria per una nazionale africana ai Mondiali, ma la mancanza di coraggio del ct Jalel Kadri e la conseguente sconfitta subita nella gara cruciale contro l’Australia si sono rivelate fatali ai fini della classifica.
Pertanto i quattro punti conquistati contro la Danimarca e i campioni in carica della Francia, insufficienti per staccare il pass per gli ottavi, hanno lasciato un gusto agrodolce in bocca ai tifosi tunisini. Essi sono consapevoli che il proprio paese sta vivendo un periodo estremamente caotico e complicato dal punto di vista socioeconomico e che difficilmente la federazione sarà capace di sfruttare questo exploit come base per poter costruire un progetto più duraturo.
Al netto di supposte ingerenze federali appare più futuribile la rosa del Ghana, la terza più giovane di questa edizione, che a dispetto della mancanza di esperienza ha dato del filo da torcere a potenze come Portogallo e Uruguay. L’unica vittoria degli uomini di Otto Addo è arrivata contro la Corea del Sud.
Non è bastata per pareggiare i sei punti guadagnati nella fase a gironi del 2006, ma è servita a confermare l’enorme talento di Mohammed Kudus, centrocampista dell’Ajax e tra i calciatori africani di maggior spicco di questa edizione. Kudus proviene dalla Right to Dream Academy, una delle scuole calcio ghaneane più prestigiose che ha svezzato anche il compagno di nazionale Kamaldeen Sulemana, esterno d’attacco in forza al Rennes.
Il Camerun non ha messo in mostra nessun talento particolarmente vistoso, ma verrà ricordato come la prima nazionale africana ad aver battuto ai Mondiali il Brasile, in questo caso un avversario rimaneggiato ma pur sempre nettamente superiore. Il gol decisivo lo ha realizzato il capitano Vincent Aboubakar, il capocannoniere dell’ultima Coppa d’Africa con otto reti.
Con quattro punti la formazione del ct Rigobert Song ha evitato l’ultima posizione, data quasi per scontata, ed eguagliato l’edizione del 2002 in cui la selezione da lui capitanata sconfisse l’Arabia Saudita e pareggiò contro l’Irlanda. Tutto ciò a dispetto delle solite liti interne che hanno portato all’espulsione dal ritiro del portiere dell’Inter André Onana, minando inevitabilmente la serenità del gruppo.
Come sta sottolineando in diverse interviste il presidente della federcalcio camerunense Samuel Eto’o, è necessario credere di poter battere le migliori nazionali al mondo per riuscirci effettivamente. Ed è questo cambio di mentalità che ha giocato un ruolo fondamentale per non ripetere le prestazioni deludenti del 2018.
Un cambio di mentalità che Senegal e Marocco, le due rappresentanti africane sopravvissute alla fase a gironi, sembrano aver recepito meglio. Alla vigilia dei Mondiali Cissé ricordava al mondo che ciò che manca maggiormente alle selezioni africane è l’esperienza e che accumularne è questione di tempo.
Nella conferenza post-partita contro il Canada Regragui ha dichiarato: «Ci tenevamo a dimostrare che l’Africa c’è, perché l’Africa troppo spesso viene screditata. Abbiamo buoni allenatori e buoni giocatori qui. Ora siamo solo agli ottavi di finale. Non abbiamo ancora fatto niente». Senegal e Marocco, che sono capitate nella stessa parte di tabellone, agli ottavi hanno affrontato rispettivamente Inghilterra e Spagna.
Due avversari alquanto ostici ma perfetti per testare ulteriormente la rinnovata competitività del continente africano. Il Senegal è incappato in una serata storta e ha interrotto la sua corsa verso la storia. Il Marocco, invece, la sua storia l’ha riscritta diventando la quarta nazionale africana a raggiungere i quarti di finale.
Non solo calcio.
Dentro e dietro gli spalti sfruttamento e diritti negati
Gli agghiaccianti retroscena di questa Coppa del mondo per quanto riguarda i diritti umani sono offuscati dall’imponenza della gigantesca e ricca macchina del business, di cui la Fifa ha disperato bisogno. Nigrizia ha comunque scelto di seguire l’aspetto sportivo del massimo torneo mondiale, per continuare a raccontare le tante facce delle Afriche.
Ma vuole anche evidenziare l’ipocrisia che si nasconde dietro eventi come questo. In coda ad ogni articolo che racconterà questi Mondiali, ricorderemo che paese è il Qatar per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani e delle libertà basilari.
Per quanto riguarda lo status delle donne lasciamo parlare Amnesty International, che ben descrive il loro stato di completa dipendenza dagli uomini e dalle famiglie. In Qatar “le donne hanno continuato a subire discriminazioni nella legge e nella pratica. Sotto il sistema di tutela, le donne rimangono legate al loro tutore maschio, di solito padre, fratello, nonno o zio, o per le donne sposate, al marito. Le donne continuano ad aver bisogno del permesso del loro tutore per le decisioni chiave della vita: sposarsi, studiare all’estero con borse di studio governative, lavorare in molti lavori governativi, viaggiare all’estero e ricevere forme di assistenza sanitaria riproduttiva”.
E ancora: “Le leggi sulla famiglia hanno continuato a discriminare le donne rendendo loro difficile il divorzio. Le donne divorziate non sono in grado di agire come tutori dei loro figli”. “A marzo – scrive ancora Amnesty – il governo ha contestato i risultati di un rapporto di Human Rights Watch sulla discriminazione contro le donne in Qatar e si è impegnato a indagare e perseguire chiunque avesse violato la legge. Entro la fine dell’anno, tali indagini non avevano avuto luogo”.
Nel suo recente rapporto sullo stato dei diritti nel paese, Human Rights Watch aggiunge, tra l’altro, che “Il codice penale del Qatar criminalizza ogni forma di sesso al di fuori del matrimonio, con condanne fino a sette anni di carcere. Se sono musulmane, le donne possono anche essere condannate alla fustigazione o alla lapidazione”.